Sui briganti molto si ridice per il centocinquantenario, in chiave di liberazione o di resistenza all’unità. Rifacendosi a Hobsbawm, il marxista buono a tutto, che cinquant’anni fa ne celebrava in “Banditi” alcune forme, in chiave Robin Hood. Ma erano solo un fatto di delinquenza. Poteva appassionare gli idealisti, come il giovanissimo Ricciotti Garibaldi, per l’estrema povertà che li esprimeva ed essi stessi esprimevano, che l’Italia unita non sapeva fronteggiare se non con le armi. I briganti circondavano i luoghi abitati per le rapine e i rapimenti di persone a scopo di riscatto - molti lampo, il tempo per un congiunto o un amico di andare a casa e tornare coi soldi. Non c’è mai stata un’epopea dei briganti, un trasporto popolare, Croco e Musolino sono eroi di questure e cronisti giudiziari, nessuno li conosce.
Questa narrazione già famosa del finanziere londinese William Moens e consorte (tradotta da Tea quindici anni fa ma ancora in commercio, pp. 251, € 7,75) è rivelatrice anche di un’altra verità involontaria: il turismo inutile. Il cosiddetto Grand Tour, anche quando si fa in epoca recente, il 1865, è più spesso d gente gravida di pregiudizi – al punto, in questo caso, di non saper entrare in una chiesa. Poiché, come si sa, fuori niente va bene come a casa. La narrazione gira tutta attorno al rapimento di cui il marito fu vittima nel salernitano alla fine del viaggio. Una prigionia lunga, ma a lieto fine. Col brigante cattivo e quello buono, le minacce, le orecchie mozzate, e col riscatto. Ma fin dall’approdo a Palermo la signora Moens, soprattutto lei, benché fresca sposina, non vede che feroci briganti. La fine insomma è preannunciata. Ma le vicende banditesche di cui la signora fa la cronaca non consentono altra storia.
William Moens, Briganti italiani e viaggiatori inglesi
venerdì 1 aprile 2011
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