Il processo milanese alle banche americane che hanno speculato su Parmalat sarebbe andato in prescrizione lo stesso, anche senza la prescrizione breve, e forse sarebbe stato meglio. Non è stata una bella assoluzione, quella delle tre giudici della Seconda sezione penale di Milano, quale che ne sia la motivazione: le banche hanno rifilato i titoli Parmalat ai propri risparmiatori sapendo che erano spazzatura, questo è il fatto. Escono così dal crac tutte le banche – la Procura di Milano di suo aveva esentato le banche italiane, soprattutto Intesa e Banca di Roma (ora Unicredit), che avevano venduto le obbligazioni Parmalat ai correntisti dopo esserne uscite di corsa. Resta la procedura fallimentare a Parma, che ha tempi lunghi, ma i maggiori speculatori sul fallimento, dopo la famiglia Tanzi, si sono a questo punto sfilati dal processo.
Milano ha sfilato le banche dal crack Parmalat. Senza nemmeno giustificazioni. Così come esenta la Saras dalle morti sul lavoro nei suoi stabilimenti sardi. In parallelo con la condanna a Torino senza attenuanti invece, sulla base delle stesse norme, dei dirigenti della Thyssen.
C’è con tutta evidenza qualcosa di marcio nella giustizia a Milano, che pure si pretende a giudice dell’Italia. Dell’autore dei manifesti “Fuori le Br dalle Procure”, Roberto Lassini, si tace che è stato sotto processo per cinque anni, ed era compagno di Cella di Gabriele Cagliari, il presidente dell’Eni suicida perché non fu nemmeno interrogato dal Procuratore De Pasquale, senza nessuna colpa. Un manifesto contro una carcerazione non c’è partita. Tanto più con i “duri e fermi moniti” di Napolitano, rivolti ai manifesti e non alla lesa giustizia, cioè a un reato d’opinione. Che c’è dunque ancora - o è quello nuovissimo di leso giudice?
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