È il senatore democratico Kerry, ex concorrente alla candidatura presidenziale americana, che ha convinto Berlusconi venerdì santo a bombardare la Libia. Insieme con l’ambasciatore Usa a Roma David Thorne, che ha profittato dell’occasione per riprendere contatto con Berlusconi, dopo i giudizi sprezzanti rivelati da Wikileaks, e si sarebbe profuso in lodi della persona oltre che dell’Italia e del suo impegno nelle guerre di pace. Berlusconi sarebbe rimasto oltremodo lusingato dalla visita di Kerry, che presiede la Commissione Affari Esteri del Senato americano.
La lusinga decisiva sarebbe stata l’apprezzamento dell’intervento italiano come “necessario” per venire a capo della resistenza d Gheddafi, perché solo i servizi italiani saprebbero individuare i punti sensibili nella difesa del colonnello, al contrario delle spie inglesi e francesi, che si sarebbero rivelate “confusionarie e inadeguate”.
A conferma della sue buone intenzioni, Thorne ha poi propiziato la telefonata decisiva di Berlusconi con Obama. In attesa di parlare col presidente americano Berlusconi gongolante si sarebbe tenuto tutto per sé, nel week-end pasquale che ha passato solitario in Sardegna: i suoi collaboratori hanno solo avvertito il cambiamento di umore. E così una guerra a tutti gli effetti contro l’Italia, che hanno già avuto dai quindici ai ventimila morti, anche se non si dice, vede l’Italia in prima fila al fronte – anche se comodo e pulito, dall’altro dei cacciabombardieri.
Tutto come prima, dunque: l’Italia interviene sull’ennesimo fronte di guerra per fiancheggiare gli Stati Uniti. Una “tradizione” ormai venticinquennale, fa valere la Difesa. Che la fa risalire ai tempi di Spadolini, del primo intervento in Libano. Confermata in particolare da Massimo D’Alema, da presidente del consiglio nel 1998-9, e poi da ministro degli Esteri di Prodi.
Che la guerra sia “contro l’Italia”, si ricorderà, è indubbio: spese insostenibili per un bilancio che si è ridotto a tagliare la cultura, contratti perduti per migliaia di aziende, il caro carburante, la frontiera libica aperta per le masse in fuga dal Centro Africa. Lo stesso Thorne l’avrebbe riconosciuto, promettendo di più: la salvaguardia degli interessi italiani in Libia, preminenti in quel paese. Cosa che, in linguaggio diplomatico, Obama avrebbe ribadito a Berlusconi, confermando una sorta di legame privilegiato fra l’Italia e l’ex colonia.
Quale che sia l’esito di questo impegno, si conferma comunque che, in realtà, malgrado l’attivismo del presidente francese Sarkozy, anche la partita Libia è gestita da Washington.
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