Arriva un imprenditore d’America di cui nessuno sa nulla. Che si compra la Roma ma non ha i soldi. Nemmeno per un terzo della Roma quanto in realtà si comprerebbe (il sessanta per cento del sessanta per cento). Che vuole uno stadio suo, cioè una bella operazione immobiliare, che non avrà. Che parla con questo e con quello come se li conoscesse, e invece non li conosce. In particolare, va a Firenze a parlare con l’indimenticato Franco Baldini, che dopo aver fatto fallire la Juventus e la nazionale inglese, da tre anni lavora a smobilitare la Roma. E poi se ne va: gli affari spesso sono squallidi, ma questo supera ogni altro. Senza cattiveria, proprio per lo squallore.
Si portano al confronto gli oligarchi russi e gli sceicchi arabi, che invece altrove investono senza bisogno di fidejussioni, con soldi veri. Ma questo altro è solo l’Inghilterra, dove oligarchi e sceicchi fanno i mecenati per avere la residenza fiscale. In un paese cioè poco fiscale, oltreche pieno di casinò e castelli. E soprattutto stabile, rispetto agli incerti regimi d’origine.
La verità è che il calcio non fa impresa. Unicredit è finita sull’incerto acquirente italo-americano perché non ha trovato altri. Il calcio può essere business, ma per motivi extracalcistici. Ultimamente alcuni imprenditori si sono avvicinati al calcio, come i Della Valle, come questo Di Benedetto, nell’ipotesi di grandi operazioni immobiliari legate a uno stadio. Tantomeno il calcio è ritenuto profittevole in Italia, dove è dominato (Federazione, Lega e Arbitri) dal Milan e dall’Inter.
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