sabato 9 aprile 2011

Roth satirico, è la sua specialità

Più che “Fragole”, un abbozzo autobiografico della bozzettistica ebraica orientale, il pezzo forte è il racconto che lo precede, un romanzo in realtà. S’intitola “Perlefter, storia di un borghese”, ed è la tragicomica storia, a metà tra Molière e Flaubert, di un borghese gentiluomo che ama le frasi fatte, l’arredamento che non apprezza, gli oggetti che non capisce, intento com’è alla ricerca della felicità, che gli compete per status.
Scritto nel 1929, prima del ciclo legittimista che poi lo ha caratterizzato, sulla perdita della patria e cioè del centro, e quindi di sé, che ne fece anche un sostenitore poco critico di Otto d’Asburgo. Con l’ambizione di scrivere “il mio romanzo più bello”. Ma non completato. Oppure sì, si può ritenere una fine la sinossi del decimo capitolo: “Nessun ricco era tanto vicino al futuro povero Leo Bidak quanto il signor Perlefter… Allora Bidak, con un po’ di speranza nel cuore, si recò da Perlefter. Quando arrivò, si stava celebrando una piccola festa di famiglia: il compleanno di Fredy. Si sarà già capito, da ciò che ho raccontato finora del signor Perlefter, che nei giorni che gli costavano denaro, anche se gli fruttavano gioie, non era proprio dell’umore adatto per spendere denaro per qualcosa che non gli avrebbe mai fruttato gioie”.
Rimasto inedito, “Perlefter” è stato ripescato nel 1978, e già tradotto vent’anni fa per la bella collana L’Ellisse della livornese Aktis da Veronica Fanelli, a cura di Fabio Canessa. Giocato sul paradosso, che è la vera cifra di J. Roth se lo si legge in tutte le sue scritture, compresi i viaggi e la saggistica letteraria, non solo nel lamento della tradizione e nella solitudine finale. Giocoso perfino: “Perlefter, storia di un borghese” è il paradosso di come si possa essere ricchi e poveri. E poveri e stupidi: “Certe persone sembrano di valore soltanto perché povere, e a un morto di fame si è propensi ad attribuire una capacità creativa, che in realtà è pura miseria. La grande ingiustizia dell’ordine mondiale ci induce a conferire ai poveri anche dei meriti, mentre già da sola la povertà sarebbe motivo sufficiente per farci amare chi ne è colpito”.
Joseph Roth, Fragole, Adelphi, pp. 178, € 14

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