Il giorno in cui i vecchi “amici” delle Fondazioni si riunivano per decidere un altro aumento di Unicredit, il colosso bancario ha esordito miseramente nella sua prima operazione dopo Profumo – aspettando quella su Fonsai-Ligresti: la vendita della As Roma. Senza incassare niente dei 300 e rotti milioni che i Sensi debbono alla banca, e che era il motivo per cui la banca ha costretto i Sensi a vendere. E anzi anticipando altri soldi al nuovo padrone. Un italo-americano che prima si diceva si chiamasse Di Benedetto e ora si chiama Pallotta. Un avvocato. In cambio di un progetto industriale che prevede uno stadio di proprietà, che in Italia e a Roma non si può fare e non si farà. E altri proventi da merchandising che sono in realtà legati allo stadio con annesso centro commerciale. Il tutto, per una società quotata in Borsa e su cui si espone la seconda banca italiana, dato in pasto ai cronisti sportivi. Che in cambio di un viaggetto a Boston, con spumante, in classe business, afferrano dell’affare cose del tipo: “La Roma con Totti sarà grande e forte”.
Si può ironizzare: la Roma è venduta gratis, con una dote - in euro invece che in cammelli. Ma il debutto della nuova finanza confessionale è molto vecchio: è il pateracchio. Sul “Corriere della sera” Massimo Gaggi evoca l’epoca delle Partecipazioni Statali. Che funzionavano così: imprenditori privati investivano con capitali e crediti pubblici. Ed effettivamente questa vendita ricalca, in piccolo, l’ultima e più famosa operazione delle Pp.Ss., nel 1986, presidente dell’Iri Romano Prodi: la cessione del colosso alimentate Sme a Carlo De Benedetti in cambio di un credito – di Prodi a De Benedetti. Allora di trenta miliardi di lire, per un gruppo stimato tre miliardi di euro, oggi di quaranta milioni di euro, poco meno del triplo, per una società che ne varrà, forse, il doppio.
sabato 16 aprile 2011
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