Fjodor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
lunedì 9 maggio 2011
Dostoevskij giallo d’appendice
Un romanzo elevato, perfino teologico, che scorre su due binari popolari, giallo e d’appendice. Il colpevole a tutti gli effetti può ancora non essere colpevole. La scrittura è invece da romanzo d’appendice, non nervosa come vorrebbe il giallo: stiracchiata, come se l’autore stesso la menasse incerto o scocciato per qualche puntata, e dopo lungo rigaggio “rivoltato”, con sorprese piccole e grandi. Fino all’irrealtà dell’arringa del difensore, che può senza problemi ribaltare il giudizio ma – per stanchezza? Perché la condanna è l’unica maniera di chiudere il lungo romanzo? – usa l’ironia, cita il non citabile “Udolpho” , si perde nelle vicende di Pietroburgo e, soprattutto, si appende a quei ragionamenti deduttivi che chiuderanno i racconti di Agatha Christie, a uso della giuria di contadini.
La svagatezza è anche nella ripetuta celia sul realismo nella narrazione. I tre fratelli sono tre Dostoevskij: l’entusiasta improvviso, superficiale, inconcludente (l’aspetto di sé più caratterizzante e più additato all’odio), l’intellettuale settatore, e il buono verginale che ognuno vorrebbe essere.
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