Mentre la parte borghese della rivolta in Libia, i diplomatici e i generali, si dividono e si aggregano a interessi esterni, la componente qaedista si manifesta robusta e decisa. Quando Geddafi ne denunciò il ruolo nelle prime manifestazioni tre mesi fa non fu creduto. Anche se lui personalmente ne conosce molti esponenti, avendo prestato la Libia trent’anni fa per l’addestramento dei combattenti islamici da destinare all’Afghanistan. Uno dei capi dei fondamentalisti islamici, Abu Yahia el Libi, “il libico”, fondatore del Gruppo Islamico Combattente di Libia, era riemerso in patria già quindici anni fa a capo di un fronte di resistenza armato contro Gheddafi. E ora è il candidato numero uno alla successione di Osama, a capo di Al Qaeda, anche se provvisoriamente viene indicato un altro nome, Seif el Adel, che è solo uno dei capi militari. Altro qaedista di primo piano è Abdel Hakim el Hasadi, uno dei capi della rivolta a Bengasi. Anche se è noto tra gli inviati per i gli appelli all’unità fra Occidente e Oriente “contro il dispotismo”.
Al Qaeda c’è, e non si nasconde. Il ruolo di Al Qaeda in Libia d’altra parte non era sconosciuto agli Stati Uniti. El Hasadi era stato detenuto dagli americani a Islamabad dopo l’11 settembre, e sottoposto a lunghi “interrogatori”.
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