Si dica al solito rivelatrice la gaffe del sottotiolo: non si sbaglierà. Non è un dialogo giuridico, né filosofico (il libro è in forma di dialogo con Gabriella Caramore, la conduttrice ogni week-end di “Uomini e profeti”). Non è un racconto d’autore. È l’elogio dell’ambiguità. Ambiguo – non dichiarato o professato, ma alluso, insinuato, sotto le specie dell’irriducibilità o molteplicità del reale (c’è una voga della licenza intellettuale, dopo che Scalfari si confessò “libertino”). Per un giudice non è una buona argomentazione. Per un giudice fortemente radicato nella politica forse sì.
Zagrebelsky, giurista, ex giudice costituzionale, polemista, è stato democristiano, e anzi doroteo (erano i “dorotei” quelli del qui lo dico e qui lo nego, e del non ci sono, non sento, non parlo, improsatori muti). Promosso “giovane” giudice costituzionale da Scalfaro nel 1994, si è illustrato per avere blindato le fondazioni ex bancarie come feudo del potere confessionale, presuntamente disciolto. La vecchia partitocrazia, che si era fatta legalizzare come costituzione materiale. Il traditore resta fedele al suo tradimento. Ma il vero Giuda non ne sarebbe stato contento: meritava un’argomentazione migliore.
Gustavo Zagrebelsky, Giuda. Il tradimento fedele, Einaudi, pp. VIII-94, € 12
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