lunedì 9 maggio 2011

Il finto Osama made in Usa

Osama che si guarda alla tv i suoi filmati è come l’americano medio vuole immaginarsi un arabo, con l’elettricità appesa a un filo, un televisore della Caritas, un po’ di sacchetti di plastica e altri rifiuti disordinati. Mentre il mondo arabo e islamico è sempre stato ed è il primo consumatore e attore dell’etere, di parabole, satellitari, twitter, delle infinte applicazioni dei computer e dei cellulari. Nonché padrone, alla scuola americana si direbbe, delle tecniche di comunicazione.
Bin Laden ne è stato la dimostrazione più lampante. Ma non è un’eccezione: il mondo arabo vive così, senza una società politica moderna, nella modernità tecnologica più spinta. Il khomeinismo, fenomeno prevalentemente tecnologico, della comunicazione di massa ai primi tempi della videocrazia, poi “Al Jazira”, con tutti i suoi equivoci, e ora le cosiddette rivolte liberali di Tunisi, del Cairo, della Siria, azionate in realtà dai fondamentalisti, con spreco delle trovate tecniche più spinte, dicono questa padronanza dei mezzi di comunicazione di massa una costante.
È invece vero, in tutta la storia della fine di Osama, che gli Usa sempre più sono quelli delle saghe di fantascienza: sembrano falsi, almeno a un europeo. Come se non sapessero utilizzare le tecniche di comunicazione che hanno inventato, o che vengono loro attribuite. È un modo d’essere? Alla maniera degli arabi, di cui del resto gli Usa e il modo di vita americano sono l’unico faro? È un errore di regia? Era diverso ancora una quindicina d’anni fa, quando il produttore Dustin Hofmann e l’agente De Niro s’inventavano in “Sesso e potere” (Wag the dog) la scena madre per scatenare la guerra alla Serbia: quella era ben fatta, benché a opera di personaggi falliti - o proprio perché lo erano, fuori del sogno americano?

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