Tutti candidati in proprio hanno sconfitto Berlusconi e la Lega, a Milano, Napoli (è pur sempre una sconfitta, il centro-destra aveva già “vinto”), Novara, Trieste, Cagliari. È la nota comune dei ballottaggi alle amministrative. In aggiunta alle situazioni locali. In particolare il rigetto della Lega: in Piemonte a un anno dalla sua vittoria alle regionali con Cota, a Novara, la città di Cota, dopo Torino, e a Trieste la sua mancata presa (come già a Bologna) – Trieste che era peraltro eroica unica testa di ponte del centrodestra nel Friuli-Venezia Giulia. Lo stesso fenomeno si manifesta nel Lazio, anche se qui è perdente.
I vincenti sono tutti candidati personali. Che si sono imposti alla propria coalizione (Pisapia), e al proprio partito (De Magistris). Analoghi fenomeni si sono avuti nelle città minori. E lo stesso è successo nel Lazio, anche se qui il potentato locale, la presidente della Regione Polverini, è stata sconfitta. Il principio della elezione diretta, ormai previsto per tutte le cariche esecutive, eccetto il governo centrale, conduce inevitabilmente a una personalizzazione della contesa politica. Il fatto è ampiamente noto dagli Stati Uniti, dove l’investitura popolare diretta è da sempre il cardine delle leggi elettorali: le candidature sono aperte, i partiti si limitano a sostenere il vincente, non pretendono d’imporre il candidato.
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