Si discute nel centrodestra se la sconfitta sia più del Pdl o più della Lega. Ma sapendo bene che il Pdl esce sconfitto a Napoli, nel Lazio e in Sardegna. È del Nord che si discute: il Pdl rimprovera alla Lega il mancato sostegno alla Moratti al primo turno, la Lega rimprovera al Pdl la sconfitta a Novara e Trieste, nonché i magri risultati di Bologna e Torino.
In sintesi: un Pdl indebolito contesta alla Lega alcune diserzioni. E viceversa, ma con la Lega non in vena di mea culpa. Non senza motivo: la Lega è il partito che più ha aumentato i voti al Nord, di 160 mila unità (rispetto ai 31 mila in più registrati dal Pd). E li ha aumentati in tutti i posti dove si è votato: a Milano (più 35 mila), Torino (18 mila), Varese e Novara (mille), i dodici comuni lombardi sopra i 15 mila abitanti (14 mila) e le province di Vercelli, Pavia, Mantova e Treviso (92 mila). Il Pdl invece ha perso ovunque, in totale 230 mila voti. A Milano del resto Berlusconi appare oggi come Craxi vent’anni fa: la città cerca, smarrita, un altro punto di riferimento (gli ha dimezzato le preferenze rispetto al 2006, mentre ha aumentato di un 10 per cento le preferenze per gli altri candidati in lista).
L’effetto prevedibile è un indurimento della Lega dentro il governo. Il primo obiettivo, sul quale però la porta è aperta in Parlamento, è l’allentamento dei vincoli di bilancio a favore del sistema produttivo. Soprattutto con una riduzione del carico fiscale e degli oneri sociali sulla produzione. Il secondo sarà una nuova legge elettorale, che torni al proporzionale, con le soglie di sbarramento. Su questo l’accordo col Pdl sarà più difficile, a meno che la Lega non trovi una sponda nello stesso partito Democratico, l’altro grande partito anch’esso finora schierato sul maggioritario.
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