Levi Gudkov-Victor Zaslawsky, La Russia da Gorbaciov a Putin, Il Mulino, pp. 208, € 15
sabato 28 maggio 2011
La transizione rallentata di Putin
La Russia è un paese in transizione, è la tesi del libro di Gudkov e Zaslavsky, e questo si riverbera sul loro stesso libro, una riedizione della prima edizione preparata sei anni fa per la Luiss, l’università romana (col titolo “La Russia post-comunista”): Medvedev non è Putin, e la sua presidenza ha fatto fare alla Russia qualche passo in direzione dello Stato di diritto e della modernizzazione – o occidentalizzazione. Sono questi due dei tre punti deboli che Gudkov e Zaslavsky lamentano. E tuttavia l’impianto di fondo del loro studio di resta vero: non soltanto Putin, la Russia resta ancora molto poco desovietizzata.
L’altro punto debole ne fa una società e un’economia ferme più che in transizione, per la mancata liberalizzazione dell’economia e il mancato impianto di un processo auto sostenuto di sviluppo della stessa economia. La Russia continua a prosperare perché continua il boom delle materie prime, soprattutto delle materie prime minerarie, di cui essa è grande produttrice e esportatrice. Ma con un impianto sociale, normativo e produttivo obsoleto e inefficiente. In una col gruppo dirigente, che Putin ha ricostituito attorno a due dei tre vecchi pilastri del potere politico, le forze armate e i servizi segreti – il terzo era il Partito onnipotente.
Medvedev è peraltro in concorrenza con Putin anche nei vecchi fondi di potere. È suo i piano di riarmo di metà marzo. Per un utilizzo della capacità militare anche in funzione di polizia (lesercito deve riorganizzarsi per poter combattere “tre guerre locali o regionali simultaneamente”). Oltre che negli equilibri mondiali, anche se ora con un occhio alla Cina. Un piano decennale da 700 miliardi di dollari, il doppio della spesa degli anni zero.
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