Ai vent’anni inoltrati, e dopo un paio d’anni di corteggiamento, incerto, equivocato, Frédéric-Flaubert va a letto con una donna. Non l’amata, una mantenuta. Il giorno in cui scoppia a Parigi il ’48. In effetti il romanzo è politico, sulla vanità del Quarantotto. Tale lo vuole Flaubert nelle lettere successive alla sua fredda accoglienza all’uscita nel 1869: “Se si fosse letto bene, niente di tutto questo sarebbe successo”, il 1870 e il disastro della Comune. Come tale è accurato – Flaubert si documentava - e di buon taglio storico. Ma la sfida resta al solito impari, la storia vera più interessante.
Le edizioni francesi, tutte annotate, sono sempre insoddisfacenti. In traduzione i richiami si evitano, ai tempi, i luoghi, le persone, le cose, quasi fossero convenzionali come i nomi dei personaggi, ma che Flaubert si legge? Magris richiama per l’“Educazione sentimentale” il “libro su niente” che Flaubert vagheggiava con Louise Colet nel 1852, qualche anno dopo gli eventi e una quindicina prima di scrivere il romanzo, sentendosi quello “che fruga e scava il vero quanto può, che ama far risaltare il fatto minuto con altrettanta potenza che quello grande”, ma la prosa, seppure svelta, è greve. Ci vuole comunque molta buona volontà per superare l’imbarazzo dell’iniziazione, sentimentale e politica - quelli di Flaubert sono eroi negativi, si sa, ma questi inizi del romanzo borghese sono orripilanti.
Notevole, nel nostro centocinquantenario, la menzione della popolarità dell’inno a Pio IX fra i libertari parigini. E dell’influenza che su di essi ebbero i moti italiani – anche se Flaubert li fa iniziare con “l’insurrezione di Palermo”, che è invece di Reggio Calabria (forse intendeva Messina, il Sud è sempre un po’ terra incognita, dove però i moti furono stroncati sul nascere).
Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale
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