Non ha prevenuto l’attacco ai copti, questa volta molto più cruento dei precedenti, e ora può minacciare il “pugno di ferro”, con l’applicazione delle leggi antiterrorismo a tutte le manifestazioni religiose, e cioè alle manifestazioni di piazza. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate che regge l’Egitto dopo il colpo di Stato contro Mubarak aveva l’evidente intenzione di aggiornare sine die le elezioni politiche, e ora ne ha l’occasione. Si aspetta tra qualche giorno l’annuncio che la situazione dell’ordine interno non consente un ordinato svolgimento della consultazione.
L’attacco alla chiesa copta che ha dato origine agli scontri, con almeno dodici morti e trecento feriti, era annunciato, e pretestuoso: la “liberazione” di una cristiana che si voleva convertire all’islam. Sembra un ironico rovesciamento dei tanti casi di mussulmani impediti, anche con la morte, di convertirsi al cristianesimo, e lo è: la donna non era nella chiesa, e forse non esiste. Ma lo stato d’assedio, con i carri armati ancora in città, non ha prevenuto l’attacco.
La giunta Tantawi vuole tempo per consolidare il suo potere, e la presa sullo stesso partito nasseriano di governo, il National Democratic Party. Ha alleato l’Npd alla fratellanza Mussulmana, ma potrebbe non bastare. Vuole perciò allontanare il giorno delle elezioni, per non rischiare il sorpasso, sopratutto nelle città, Cairo e Alessandria, dei partiti liberali (tra essi pure uno creato da Naguib Sawiris, il maggiore industriale egiziano e la personalità copta di maggiore spicco). Intanto si studia di anticipare, almeno in parte, l’aumento promesso a febbraio ai sei milioni di dipendenti pubblici. E forse di mandare sotto corte marziale Mubarak e i suoi familiari – ma sull’effetto di un processo a Mubarak i pareri sono controversi.
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