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Giallo - Ne “I segugi” di Sofocle, il primo giallo della letteratura occidentale, come già nell’“Inno omerico” di analogo soggetto, un giallo alla Poirot, da “celluline grige”, si indaga il furto delle vacche di Apollo. Commesso da Ermes. Che le vacche aveva fatto avanzare all’indietro, a passo di gambero, per confondere le tracce.
Ermes, il ladro, ha inventato e suona per i segugi la lira, con la quale li incanta. Ai segugi che le chiedono cosa sia mai quel suono, la dea dei luoghi Cillene risponde che è una bestia morta. Coro: “Ma come credere che questo sia il suono di una bestia morta?” Cillene: “Credimi. Anzi, solo morta ha avuto la voce, da viva era muta”.
È ancora la narrazione “fatta” dagli eventi – da qui la sua fortuna? I fatti e non il ricordo o l’autoanalisi, le varie forme del flusso di coscienza, insorgono, rovinano, s’incastrano, proliferano. È, in forma anomala, il ritorno del realismo nella narrazione: l’ordinario insospettato, senza le correzioni politiche del verismo-neorealismo, da Verga a Pasolini. In forma anomala, sorprendente, l’approfondimento della conoscenza riportando (relegando) al violento, patologico, paranormale.
Manzoni – “Ho paura”, scrive Flaubert a una conoscenza nel 1868, “che gli sfondi non divorino i primi piani, è questo il difetto del genere storico. I personaggi della storia sono più interessanti di quelli della finzione, soprattutto quando questi hanno passioni moderate”.
Nietzsche – L’aristocratico – il superuomo – è già nell’“Avvenire delle nostre scuole”. Ed è tutto lì: nella funzione aristocratica che la cultura deve avere.
È liberale, e in una forma poco comune in Germania nel secondo Ottocento: contrario alla semplificazione hegeliana (“il reale è razionale”), allo Stato etico prussiano. Ma è sicuramen te anti-democratico.
L’ “ariano” opposto al semita, nella “Nascita della tragedia”, viene dal tempo. Non è rtazzismo. Se non alla maniera tedesca, erudita e non becera, non “orientale”. Nietzsche è così uomo della sua epoca, del secondo Ottocento.
È prometeico, un costruttore. Al punto da diventare severo e intollerante contro i non impegnati. Non è affatto de-costruttore, un Derrida Nietzsche lo avrebbe sicuramente disprezzato. O un Vattimo, e gli altri pifferi del pensiero debole: non li avrebbe condannati al girone delle anime belle, degli esteti inerti? La sua scala di valori è imprecisata – se non per quanto concerne i benefici della tradizione – ma è una, è inattaccabile non è compromissoria (”buona”). Come tutti i tradizionalisti. Nietzsche è un sistemico assoluto. Nemmeno storicista cioè, alla Hegel: è inflessibile. È critico della moderntià ma non è l’aedo della crisi. Questa è la sua scala di valori, la critica della modernità: cioè dell’evento, della novità. Ed è una scala, di valori, cioè una gabbia solida, gerarchizzata. Un fustigatore non è un depresso, né un lirico. Semmai un predicatore – per il dna paterno?
Il critico, analitico, sorprendente Nietzsche diventa fumoso e irritante quando posa a ordinatore. Per il sistema di valori che vuole imporre. E perché ce ne ha uno.
La femminilità del semitismo (“Nascita della tragedia”), con il suo peccato originale. Suggestivo. Ma superficiale. Da vero nordico. Non può capire la femminilità nel Mediterraneo, dove pure ha vissuto a lungo. Gli sfugge perfino un facile accostamento tra dionisiaco e femmineo.
Macchinosa la distinzione fra dionisiaco e non (socratico) in Euripide. Non così macchinosa come fra dionisiaco e apollineo. Ma fa capire che l’impostazione è sbagliata, nascendo “sistemica”. Schopenhauer portava la distinzione per esemplificare. Nietzsche la riprende per dividere e sistemare.
O l’errore sta nella radicale opposizione di dionisiaco-apollineo a tutto ciò che no lo è – socratico, teoretico, alessandrino. Che è ciò che fa Nietzsche.
O il mito richiede Hitler – non con i baffetti, naturalmente, e la scriminatura.
Proust – In America il paesaggio dà un senso d’immutabile uniformità (solidità): in un paese a dimensione continentale, in cui l’idrogeologia prevale sull’habitat, il paesaggio muta lentamente, cioè a grandi distanze. Per giorni si può vagare nei campi di granturco, o nelle praterie, o fra i campi di tabacco della Virginia, e fra i boschi del Maine e del Vermont. Proust è come il paesaggio americano, un grande campo di grano. Ha qualche guizzo di luce, qualche avvallamento, ma è uniforme.
“Incantevole e augusto”, ha ragione Sciascia. Augusto perché incantevole, cioè lieve, un farfallino. Il suo preteso inferno, la gelosia (“Albertine”, gli eccessi sessuali (“Sodoma e Gomorra”) sono titillamenti da letteratura di “seconda fila”, le sue avventure sono come le descrive Émile Blanche: si è affettuosamente amici, teneramente, anche con qualche gelosia dispettosina, e ogni tanto si va al bordello, coi marchettari.
L’eccesso che si risente, la pesantezza residua, sta nel ghigno: è il disprezzo che più pesa per le quattromila pagine, mal dissimulato sotto la bonomia ironica, disprezzo di sé naturalmente. Ma da pasticheur o da gay? C’è un ghigno gay, oltre che una lievità, costante in tutta la letteratura di genere, compresi gli amori teneri del tenebroso Pasolini, e più in quella americana “liberata”, con poca o niente gioia. Per non dire l’illimitata serie sadomaso – come se tutto fosse visto attraverso un buco sporco. È l’improduttività (sterilità) che porta alla leggerezza.
Il vuoto di sensualità, ecco il buco nero. La passione è sensualità. Ma le passioni di Proust sono di naso: birignao, anche divertenti, e nulla più, basti pensare all’ero-pornografia. Di storie e personaggi piatti, giusto il canone dell’infinita serie della “seconda fila”: trasgressioni che servono solo al pettegolezzo, il gossip dell’epoca, ne derivano e lo alimentano. Soprattutto per i personaggi femminili,se si escludono le ascendenti familiari, madre, zie, nonne, fuori della portata dei sensi. È un fantasma perfino Albertine, di cui si parla in complesso per un migliaio di pagine. Prendendo per buona l’offensiva “chiave” dei proustiani, che la ragazza è in realtà uno chauffeur italiano dai folti baffi, si va diritti alla “seconda fila”. Oppure Odette, che non è tentatrice, né patetica, né dannata, ma solo e involontariamente ridicola. Va meglio per i maschi. Saint-Loup per esempio, oggi che la letteratura gay ci sta abituando a una psicologia epidermica o del tatto senza ombre, sposato con la sensualità delle cose, un muscolo, la pelle, un fatto reale, e senza prima né dopo, senza innamoramenti né delusioni. La poetica dei portieri d’albergo: chi va, chi viene, tante personalità, nell’indifferenza.
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martedì 10 maggio 2011
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