Stati, ribellatevi! Hegel non lo dice ma è la lezione che si ricava”dalla “Costituzione della Germania”, uno dei suoi primi scritti a fine Settecento, in celebrazione della libertà che veniva dalla rivoluzione francese. Anche “la libertà è solo possibile nell’unione legale di un popolo in uno Stato”, che vi si legge a conclusione di un lungo omaggio a Machiavelli, alla fine del § IX, nel quale ha parlato dell’Italia, si può dire nella semplificazione hegeliana della storia assioma fra i meno caduchi.
Hegel parla dell’Italia in connessione con la Germania, di cui avrebbe prefigurato la disgregazione. Anche se la Germania è soprattutto vittima da ultimo della perversa Francia. Che Hegel non denuncia in questi termini perché dalla Francia aspettava la salvezza, ma di cui spiega all’esordio che con Napoleone ha completato, annettendosi la riva sinistra del Reno, la disgregazione della Germania avviata da Richelieu con la Guerra dei trent’anni, che aveva garantito alla Francia l’unità politica e religiosa e la sottomissione dei principi, e alla Germania l’opposto, la divisione in confessioni e in mini-principati.
Dalla fine del feudalesimo, quando essa aveva dato al mondo la legge, “attraverso la libertà della costituzione feudale”, la Germania non ha fatto che evolvere sotto una sorta di “diritto privato”, afferma il giovane Hegel: “Tutte le (sue) singole parti, ciascuna dinastia principesca, ordine, città, corporazione”, nell’incerta traduzione di Armando Plebe nel 1961 (“Scritti politici, 1798-1806”), “tutto ciò che possiede diritti di fronte allo Stato, ha acquistato da sé i suoi diritti, senza averli ricevuti in sorte dalla volontà generale, dallo Stato nel suo insieme”. Italia e Germania sono state unite nella stessa sorte dalla comune strategia imperiale: “La mania degli imperatori di voler conservare entrambi i paesi sotto la loro sovranità, ha annullato la loro potenza in entrambi”. L’Italia durò di più e meglio della Germania, dirà all’inizio del § successivo, “Le due grandi potenze tedesche”, perché seppe difendersi: “Il destino dell’Italia si distingue però essenzialmente da quello dell’Italia per il fatto ch gli Stati in cui l’Italia era smembrata… furono in grado ancora a lungo di affermarsi anche contro potenze assai più grandi, o per il fatto che la sproporzione dell’estensione non aveva reso ugualmente sproporzionata la potenza”. E porta l’esempio di Milano, che, come la Grecia contro i Persiani, “fu in grado di affrontare la potenza di Federico e di conservarsi contro di essa”, e di Venezia, che “si conservò contro la Lega di Cambrai”.
L’unione imposta dall’esterno provoca invece la disintegrazine. Fu questo l’effetto del programma imperiale: “In Italia ogni luogo si guadagnò la sua sovranità: essa cessò di essere uno Stato e divenne una baraonda di Stati indipendenti, monarchie, aristocrazie, democrazie, come il caso voleva; anche la degenerazione di queste costituzioni in tirannia, oligarchia e oclocrazia comparve in breve tempo”. E viceversa, l’Italia sopravvisse, anche se non a lungo, ma più della Germania, perché e finché si oppose all’unione fittizia imposta dall’esterno: “La situazione dell’Italia non può essere definita anarchia, perché la moltitudine di parti contrastanti era composta di Stati organizzati. Indipendentemente dalla mancanza di un vincolo statale, tuttavia una gran parte si riunì pur sempre in un’opposizione comune contro il predominio dell’impero”.
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