Il Consiglio nazionale Provvisorio di Bengasi, prontamente riconosciuto a Roma per non restare indietro a Sarkozy, è diviso in almeno tre tronconi. Questo si legge nei giornali francesi e inglesi, ma non in quelli italiani. D’altra parte, gli aerei italiani come ogni giorno fanno la loro “missione”, andare a bombardare la Libia, ma la cosa non fa più notizia. Nemmeno una breve. Da qualche settimana ormai, se non mesi – sono alcuni mesi che l’Onu (o è la Nato? o i volenterosi?) fa la guerra a Gheddafi, ma la cosa in Italia non interessa a nessuno. Solo in Italia, però, altrove, in Gran Bretagna e in Francia, i perplessi crescono.
A Parigi, nella sorta di disarmo morale che s’è impadronito dei giornali e della politica con lo scandalo Strauss-Kahn, la guerra non appare avere più alcuna ratio: i suoi più fervidi avvocati, il presidente Sarkozy o il commentatore Henry-Lévy, si mostrano impazienti e delusi. Londra si pone il problema dell’efficacia dei raid, ma non trova alternative. Addestrare e armare direttamente i rivoltosi, sul campo, in Libia, non è giudicato risolutivo, ed è ritenuto rischioso, a rischio cioè coinvolgimento diretto.
Come l’Italia, non si cura della Libia Washington. La cui unica iniziativa, dopo la decisione di bombardare, è stata la richiesta, tramite il procuratore della Corte dell’Aja, Luis Moreno Ocampo, di condannare Gheddafi per crimini di guerra. Cioè di impedire l’uscita di Gheddafi dalla Libia che si stava negoziando in Africa, e quindi una composizione rapida del conflitto: ora Gheddafi sa che dovrà combattere fino a che potrà. Moreno è un nome di cui l’Italia non ha buona memoria, ma il giudice non è ecuadoregno, è argentino.
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