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Giustizia – Non è ingenua e non fa errori. “In dubio pro reo” è regola ferrea contro gli errori. Ma i giudici non sono innocenti – peggio se non sono corrotti.
Maternità - È la creazione – si vede nella “Creazione di Adamo” di Michelangelo: una figura femminile accompagna Dio (in questo senso dio è – anche - femmina). Da sempre legata alla sessualità - la quale è però un’altra materia, affettiva (linguistica) e fisiologica - in quanto di tipo animale. Ora insorge la maternità di tipo vegetale, per innesti e incroci. E si può ipotizzarla di tipo minerale, per lente nutazioni.
Maturità – È la condizione di equilibrio, fra le passioni e i doveri, le attese e l’ordinario, gli affetti e le delusioni. Che si associa tradizionalmente all’età, all’incedere dell’età. Flaubert, trattandone della donna amata, la dice “un agosto”. E intende con ciò la maturità tradizionale – è il momento antecedente quello in cui l’amata verrà vista con i primi capelli grigi. Ma insinua una ricorrenza stagionale, periodica, che è più verosimile, specie ora che l’età si prolunga e le stagioni della vita si rivoluzionano – l’adolescenza, per esempio, si prolunga coi bamboccioni fino ai quarant’anni, il giovanilismo fino ai sessanta, e i bambini maturano presto
“L’agosto delle donne” è nell’“Educazione sentimentale”, all’ultimo capitolo della seconda parte: “Epoca insieme di riflessioni e di tenerezza, dove la maturità che comincia colora gli sguardi di una fiamma più profonda, quando la forza del cuore si mescola all’esperienza della vita, e sul finire delle sue fioriture, l’essere completo deborda di ricchezze nell’armonia della sua bellezza”.
Nazione – È un tacito costante plebiscito, quotidiano (Ernest Renan). E una comunità, di lingua, di storia, di sangue. Ma l’una non può esserci senza l’altra, il contratto senza la comunità e viceversa: il contratto si scioglie in manza di un interesse comune, la comunità senza vincolo si dissolve – il particolarismo è endogenetico e sporogenetico.
È su questa bivalenza che fanno presa i gruppi particolaristici.
Riconoscimento – È uno specchiarsi, una forma di narcisismo. Fin dalle antiche agnizioni. Una ricerca dell’altro, ansiosa anche, e necessitata, ma purché risponda a canoni rigidi e personali, seppure non esplicitati. È il fondamento di Facebook, come dei forum o chat informali prima della fortunata formula: un’interminabile fiera di se stessi sotto il velo del riconoscimento, del ritrovarsi. Anche nella forma della comunità d’interessi, sempre egotista.
Stato – È pur sempre la maggiore organizzazione politica che la storia conosce, quindi la migliore. Ed è un fatto e una nozione recente, tra la prima metà del Duecento e la prima del Quattrocento. A lungo, in questo ridotto arco storico, è stato sociale: una ripartizione rigida della società. Classista: ognuno apparteneva a una classe.
In precedenza era ignoto. I greci hanno la polis, unità politica di stirpe. I romani ne ampliano il concetto nella res publica di un populus romanusaperto. Lo stato era a Roma quello della città, o della repubblica, o della libertà. Della legge, in un organamento che oggi si direbbe statuto o costituzione. Ma non il popolo di un dato territorio organizzato politicamente. Il Medio Evo ha l’imperium o il regnum, un’estensione del feudo, della signoria personale – del re e il suo dio. Ma è lì che nasce lo stato come classe produttiva e sociale.
“Il Principe”, 1523, esordisce con lo Stato: “Tutti li stati, tutti e’ domini…”. La parola è già entrata nel francese (il Petit Robert la censisce alla fine del Quattrocento) e nello spagnolo. Entrerà nell’inglese nel 1532, nell’ “England” di Thomas Starkey – e darà il titolo poco dopo a Robert Cecil di secretary of State della regina Elisabetta.
Starkey scrisse le considerazioni che saranno chiamate “Starkey’s England” nei tre anni tra il 1529 e il 1532, col titolo originariamente di “A Dialogue between Pole and Lupset”, tra quello che sarà a Roma il cardinale riformista Reginald Pole e il religioso umanista Thomas Lupset, collaboratore di Erasmo per il “Nuovo Testamento” e la Patristica. Dopo aver studiato il diritto (in particolare gli statuti della repubblica di Venezia) e Aristotele a Padova, per tre anni a partire dal 1526, quando aveva 31 anni.
“Non è possibile estirpare lo Stato e la politica e spoliticizzare il mondo” sarà il più celebre postulato di Carl Schmitt, il geniale guru della politica nel Novecento, del suo “Il concetto del politico”, del 1927. E invece è possibile, poiché è avvenuto e avviene:
1) A opera di un altro Stato, non necessariamente nemico, e anzi in pieno accordo, nella cosiddetta sovranità limitata, come è avvenuto nel quasi mezzo secolo di politica dei blocchi, ed avviene tuttora nella Nato.
2) A opera di una forza interna, non necessariamente violenta, talvolta consensuale, di una maggioranza vasta, e perfino – caso Italia: la supplenza dei giudici – legale.
Anche spoliticizzare il mondo è possibile:
1) Con la cattiva politica.
2) A opera dell’opinione pubblica (i media), la forza politica più democratica che si possa concepire, poiché attiene alla libertà di pensiero e di parola.
3) Con la legge anche qui, l’applicazione della legge.
Unità – È il problema della disunione, in psicologia dissociazione. È quindi un valore. Ma può essere un disvalore. Si celebra ma allora in senso politico. E in politica sempre in subordine a preconcetti: è l’unità dell’impero sacrificata alla Riforma protestante, valore assoluto, o il Risorgimento sacrificato all’unità, benché palesemente limitativa – savoiarda-garibaldina con sacrificio dei cattolici (Gioberti) e dei repubblicani (Mazzini). È un valore ambiguo – ma ogni valore è ambiguo.
zeulig@antiit.eu
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