lunedì 16 maggio 2011

Un plebiscitarismo senza fondamento di legge

Si varano e si modificano leggi (decreti leggi) con consultazioni a distanza tra giornali e Quirinale, che i governi pavidi e i partiti si limitano a recepire. Tra due poteri non elettivi e opachi: i giornali obbedendo in primo luogo agli interessi padronali, il Quirinale a non pubblici e non elettivi consulenti e consigliori. Non da ora, dai tempi di Scalfaro, che inaugurò questo singolare modo di registrazione. Dai tempi cioè di Mani Pulite, che, è bene ricordarlo, non combatté la corruzione ma la politica: Quirinale e stampa da allora si sorreggono a vicenda, in un governo illegale della Repubblica, al coperto di un’autocertificazione di competenza giuridica, autorevolezza politica, e probità. Ma potendo contare – è questo il loro punto di forza – su una domanda di governo (la governabilità), che era all’origine della rivolta dei magistrati, in una sorta dunque di circolarità perversa: la governabilità genera l’antipolitica, e la supplenza dei media col Quirinale.
C’è un che di marcio in questo circolo vizioso, di non casuale e anzi di preordinato. Lo stato delle riforme lo attesta. Il sistema elettorale è stato aggiornato ovunque in senza maggioritario, e anzi plebiscitario, attorno al candidato sindaco o presidente: nelle circoscrizioni, ai Comuni, nelle Province, alle Regioni. Ovunque eccetto che al governo. E il motivo è evidente: perché qui un governo eletto dal popolo metterebbe fuori gioco, dopo le elezioni, il condizionamento dei media. Mentre un governo surrettizio, trasposto in una istituzione incautamente privilegiata dalla Costituzione nella durata, e a nomina parlamentare, consente di asservire senza dazio ogni parvenza di potere esecutivo, dalle multe in sosta vietata alla guerra.

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