Si parla di “modello Zapatero in crisi” alla vigilia del suo possibile tramonto, ma con un sottinteso non esplicitato: il primo ministro spagnolo è in difficoltà sui temi sociali. Mentre il suo modello, se ce n’è stato uno, non è mai stato sociale. E forse non ci teneva a esserlo: quella di Zapatero è infatti la difficoltà di tutto il socialismo europeo, in crisi non da ora in Italia, in Germania, in Francia, per non aver saputo orientarsi nella globalizzazione. Il blairismo è stato un modello, un tentativo: Tony Blair ha rilanciato la società e l’economia britanniche nel pieno del mercato globale, ma dopo che i governi conservatori (il thatcherimso) avevano demolito le vecchie ossificazioni.
Zapatero semmai è un modello, e identifica anche in questo il socialismo europeo, in quella che è stata la sua vocazione più vera, e alla fine unica: il laicismo. I diritti omosessuali e un’eugenetica da combattimento, dall’aborto all’eutanasia. Che possono essere un capitale politico, anche se di una modernità confusa, ma sono limitati: una volta instaurati esauriscono il loro effetto politico. È invece attivamente controproducente la mancata soluzione dei problemi del mercato globale: l’euro (il debito), la delocalizzazione, la desindacalizzazione e decontrattualizzazione, la distribuzione del reddito, i nuovi saperi. E della condizione urbana: casa, trasporti, istruzione, sanità. Sempre attiva non necessariamente a favore della destra, anche più spesso di una sinistra radicale. Ma confusa, mancando appunto le soluzioni. Lunedì i mercati, già in subbuglio per l’esclusone della Grecia dall’euro, che i governi tedesco e francese sembrano perseguire (o forse no), potrebbero mettere pure la Spagna sotto tiro, a motivo della protesta degli “indignati”.
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