lunedì 27 giugno 2011

Col Pci senza socialismo, caso unico in Europa

Si fa la scissione comunista nel gennaio 1921 a Livorno nell’ipotesi che l’Italia sia matura per la rivoluzione. Così dicono i compagni della terza Internazionale o Komintern, un’Internazionale già russificata, ben prima di Yalta, e così è. Gramsci e Bordiga animano la scissione “anche se”, dice Spriano, “sono tutt’altro che convinti che in Italia si sia alla vigilia di una rivoluzione”. Ma lo storico poi conferma, nel saggio centrale di questa raccolta “Sulla rivoluzione italiana”, le ragioni della scissione di Livorno – è il titolo del saggio stesso.
Il nodo centrale del socialismo mancato in italia, e della storia d’Italia nel Novecento (e della Germania), è la “scissione di Livorno”, la divisione dei socialisti in due partiti aspramente avversi. Che aprì la strada nazifascismo (in Germania molto dopo che in Italia perché i socialisti bene o male, dopo la Novemberrevolution, governavano). La divisione ha poi segnato i settant’anni del secondo dopoguerra, nell’irrilevanza politica dei due partiti, se non come gregari della Dc, fino alla loro obliterazione, caso unico in Europa (in Germania il secondo dopoguerra fu segnato dalla divisione, che praticamente annientò il partito Comunista, prima e dopo la riunificazione, riconducendo i socialisti a una sostanziale unità all’interno del partito Socialdemocratico).
Spriano certifica in questi saggi tutti i fenomeni deleteri legati alla scissione: la faziosità, il kominternismo (si può dire subordinazione a Mosca?), il frazionismo a catena. Ma non ne coglie il significato storico, la sterilizzazione politica del socialismo (eccetto che per alcune fasi del centro-sinistra - riconoscimento che però non si può pretendere da uno storico del Pci). Più che fare storia gli interessa dare ragione sempre e comunque al Partito. Si legge così retrospettivamente come un giornalista dell’“Unità”, naturalmente argomentato, un burocrate. Che non è colpa personale, l’uomo non era fazioso (nel successivo “Le passioni di un decennio (1946-1956” lui stesso riconoscerà questo limite), ma un dato politico – è l’essenza del togliattismo. Purtroppo perdurante, anche se di socialismo in Italia non c’è più neppure l’ombra, caso ancora unico in Europa.
Il progetto di Togliatti era semplice e non celato: monopolizzare la storia contemporanea. Che sembra eccessivo e anche ridicolo, ma così è stato, e anzi è – il controllo è se si può oggi più ferreo (gerarchico, totale) sull’“opinione pubblica”: media (basta vedere o ascoltare la Rai), editoria, scuola, giustizia. Rifare la storia, degli avvenimenti, dei personaggi, era specialità sovietica, già da Lenin e fino a Brezenev - di forte caratura, bisogna riconoscere (resta sempre da fare la storia del kominternismo, di Willi Münzeneberg, pure così appassionante).
Paolo Spriano, Sulla rivoluzione italiana

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