Dal Diario Politico di cinque anni fa, il 9 giugno 2006:
Adriano Sofri, malatissimo, è venuto a Roma a presentare un libro con Giuliano Ferrara. Bompressi ha invece avuto la grazia all’istante, si sono perfino dimenticati d’informare prima i familiari di Calabresi. Mentre Marino da Bocca di Magra dice la sua, dove sta e continua la sua modesta attività indisturbato. Tutto il peggio dell’inizio purtroppo si riproduce alla fine.
Perché Marino sicuramente ha ucciso Calabresi, dato che lo dice. Si è ricordato male molti particolari, come Dario Fo ha spiegato nel suo sghignazzo, ma discrepanze sono possibili, e potrebbe avere ragione lui su ricostruzioni tarde e testimonianze eccitate. Bompressi potrebbe essere stato il suo autista, ma la sua grazia è ineccepibile: l’ha chiesta, è malato, ha scontato metà della pena. Adriano la grazia non l’ha chiesta e questo pure è ineccepibile, non avendo nulla di cui doversi pentire, neppure un accenno indiretto alla morte auspicata di Calabresi. Ma si presta a troppe persone a farsi belle. Alle stesse che l’hanno voluto carcerato e condannato, compreso il segretario diessino Piero Fassino, che nel Duemila non solo non chiese la grazia ma per non scarcerare Sofri non propose l’indulto, benché lo chiedesse il papa, per il giubileo, di fine millennio.
È la parte orrendea della vicenda Sofri. Che comincia nella caserma milanese della Pastrengo, luogo di tante infanie della Repubblica. A opera di un colonnello servizievole, di cui il suo generale Bozzo non conserverà buona memoria, e di toghe che non vedono l’ora di mettere le mani su un socialista, seppure di complemento, un amico dei socialisti, anzi dell’odiato Martelli, promotore del referendum che ha spopolato sulla responsabilità civile dei giudici: Pomarici, D’Ambrosio, Borrelli. Il partito che sarà dell’antipolitica. Col sostegno immediato del Pci, il cui apparato scatta pronto: “l’Unità” d’intesa con “Repubblica” condanna subito Sofri, “L’Espresso” del reduce Claudio Rinaldi, lo specialista del tormentone, sempre pieno di notizie riservatissime, chiude pesantemente il coperchio. Dopodiché sette tribunali compiacenti non vorranno sentire ragioni.
Malgrado questa unanimità, ma anche a causa di essa, è il tipico processo di regime, con condanna cioè annunciata. Fra le tante condanne preparate a tavolino, tra politici, magistrati e carabinieri in carriera, anzi, questa è la più “preparata”: l’accordo è unanime e entusiasta, al punto di non preoccuparsi delle pezze d’appoggio, se non delle prove. Ma la parte più orrenda è opera dello stesso Sofri, che da vittima diventa socio dei suoi torturatori. E non c’entra la “sindrome di Stoccolma”: Sofri diventa bandiera per conto dei suoi torturatori di una battaglia di libertà. Di rispetto del diritto.
È il tipico procedimento del sovietismo, delle purghe: Adriano è Artur London. Ma con un’aggravante, che non c’è più il terribile apparato coercitivo del comunismo, sul fisico, sulla mente, sui familiari, sulla storia.
La grazia a Sofri, che potrebbe ora venire, andrà non più a un testimone di libertà, che rivendica le ragioni della giustizia, ma a un servo volontario. A opera, fra le tante urgenze, del primo presidente della Repubblica (ex) comunista. Su proposte dell’allegro Mastella, pupillo politico ultimamente del senatore a vita Andreotti.
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