astolfo
Calciopoli – Sarà Napoli a condannare Moggi come ha già fatto con la Juventus, lo “scandalo” è tutto napoletano, del neo assessore Narducci dell’ammazzasentenze De Magistris. Ma ha avuto un distinto flair politico. È la ministra Melandri che nomina alla Federazione calcio Guido Rossi, ex senatore del suo partito, avvocato di Moratti, ex consigliere d’amministrazione dell’Inter. Che affida la giustizia sportiva a Borrelli, il feroce anti-Berlusconi. Si può dire l’iniziativa ulivista antimonopolista: Melandri, ministra di Prodi, castiga lo strapotere di Juventus e Milan. Opure a favore di Moratti e l’Inter. Gratuitamente, questo è sicuro.
Guerra - Ha perduto in Libia la colorita infiorettatura che l’aveva sdoganata dopo la caduta del Muro. Di guerra umanitaria, difesa attiva, protezione dei diritti di libertà, per conto dell’Onu. Per aver acquisito un fondo routiniero e quasi normale, uscendo dall’eccezionalità? È il caso di questa guerra, che non fa notizia, non per le distruzioni, ma nemmeno per i morti, i feriti, i profughi, il traffico di braccia che dietro a essa si nasconde. Non ha avuto nemmeno bisogno di giustificarsi: non viene dato nessun motivo per cui l’Italia, o l’Onu, fa la guerra alla Libia – salvo sostenere una fazione in un colpo di Stato non riuscito, ma anche questo motivo è fatto valere con riserva. Si può dire la pace fatta di tante piccole guerre, purché a danno di altri, di chi non conta o non può contare, in Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia.
Italia – Ha realizzato ciò che sembrava impossibile, dal punto di vista teorico e pratico: la democrazia economica. Nei limiti in cui la democrazia si può realizzare, e comunque più che in qualsiasi altro paese al mondo - anche un po’ al di là di questi limiti, l’anarchia riuscendo a combinare in un sistema produttivo. Ma alla democrazia politica non riesce nemmeno ad avvicinarsi. La tiene lontana un baluardo di privilegi, o aree di rispetto – o d’inefficienza: si vuole non dover fare qualcosa. Che dai gruppi tradizionalmente protetti, magistrati, funzionari, militari d’ogni specie, le polizie comprese, politici, giornalisti, è passato al paese tutto. Il sistema è sovietico di tipo brezneviano: ognuno prende qualcosa e non dà, non deve dare, in cambio nulla. E come in quel modello, tutti però sono superefficienti nell’attività privata, fuori orario esentasse.
La Repubblica berlusconiana ne è una personificazione: persone stimabili nelle loro attività (professionali, manageriali) diventano inefficienti in quella pubblica. Anzi, già incapaci: la funzione è diventata fisiologica.
“K” – Il “fattore K”, che si vuole abbia dominato la politica italiana fino alla caduta del Muro (“K” per partito Comunista), viene imputato a vincoli internazionali: gli accordi di Yalta, la spartizione dell’Europa in zone di influenza, e gli Usa, l’impero americano. Un condizionamento che resta però da dimostrare, i documenti finora pubblicati mostrano gli Usa curiosi del Pci ma non ostili, malgrado il tanto parlare di golpe e organizzazioni paragolpistiche (materia sicura di propaganda sovietica). Mentre si sa, anche se non si dice, non si analizza, che il Pci non è andato al governo perché ne è stato incapace.
Incapace di alleanze: o troppo servile, verso i preti, o troppo faziosi, con le altre sinistre. Inetto nell’amministrazione: troppo monopolista politicamente, poco innovativo, poco creativo (vedi Firenze e Bologna), conservatore e, localmente, molto corrotto, seppure a favore del partito. Maneggione e distruttivo nei settori che ha condizionato grazie all’egemonia culturale: editoria, magistratura, università. Un’egemonia che bisognerebbe dire professionale (per i burocrati della cultura) e non culturale: il suo cinema, la sua televisione, la sua letteratura sono irrilevanti, e tuttavia è stato ed è (attraverso il partito Democratico) monopolista durissimo. Interessato unicamente alla gestione del potere, l’insegnamento di Togliatti. Incapace di una proposta economica e sociale (lavoro, mercato, redditi, previdenza, assistenza), ma forte della conservazione.
Se si volesse razionalizzare, bisognerebbe concluderne che il Pci non ha voluto governare, contento di gestire il potere con la rendita di posizione dell’esclusione – da martire, per farsi perdonare le colpe. La “resistenza” berlingueriana al governo nel 1975-76, un voto trionfale disperso nei governicchi di Andreotti, i più squalificati della Repubblica, ne è il test-case. Ma è sbagliato razionalizzare: semplicemente il Pci non è stato e non è la parte migliore della società, quale pretende di essere, esclusa dal governo dalla protervia americana. Gli Usa sono naturalmente imperialisti, ma praticano – hanno praticato fino agli anni di Reagan - una politica di contenimento e non di attacco alle posizioni comuniste, una politica di difesa. Hanno poi trovato più comodo assumere l’iniziativa, nel nome dei “diritti civili” (di civiltà?), da Carter in poi. Ma in Italia hanno trovato un presidente del consiglio ex Pci, Massimo D’Alema, e un presidente della Repubblica ex Pci, Giorgio Napolitano, quali più ciechi servitori nelle loro guerre.
Libia – La guerra civile in corso, per di più combattuta da una parte by proxy, con gli arsenali micidiali dell’imperialismo, vi lascerà odi inestinguibili, oltre alle distruzioni che tutto il paese pagherà a caro prezzo, vinti e vincitori. La Libia viene peraltro da una storia millenaria di abbandono, eccettuati i quattro decenni di Gheddafi. Ma era il nome delle meraviglie in quasi tutti i riferimenti classici. In quanto Africa del Nord, e in quanto Libia come modernamente detta.
Era il Giardino delle Esperidi di cui favoleggiavano i greci, “ombroso di alberi che s‘intrecciano l’uno con l’altro tanto sono fitti, loti, meli di ogni tipo, melograni, peri, corbezzoli, rovi di more, viti, mirti, allori, edere, olivi, oleastri, mandorli e querce”. Era il luogo dei lotofagi, abitanti “tutti biondi e bellissimi”. La Grecia fu “colonizzata” dalla libica Demetra. San Giorgio, che era allora un cavaliere, liberò la figlia del re di Libia dal serpente – la Libia era allora l’Occidente.
Il Gebel Akhdar, la montagna verde tra Bengasi e Derna, abbandonata per secoli, rifiorita con i coloni italiani, abbandonata di nuovo alla loro cacciata nel 1970, Omar Muntasser, allora ministro dell’Economia di Gheddafi, tentò trent’anni fa di ripopolare con coloni italiani pagati come i tecnici, ma la bonifica s’imponeva pesante, scavare pietre, e l’offerta non ebbe successo.
Sofri – Si può dire esemplare della sindrome di Stoccolma, che dunque c’è. “Appeso” volenteroso ai suoi carnefici, gli ex Pci e i giustizialisti di De Benedetti (“Repubblica”, “L’Espresso”), più qualche neo andreottiano. Che tuttora non lo giudicano incolpevole, un non assassino condannato ingiustamente e anzi protervamente, ma un colpevole sui cui esercitare un po’ di compassione. Legati a filo doppio, protettori-protetti, ai sette tribunali che contro ogni evidenza l’hanno condannato.
Certo, bisogna difendersi con tutti i mezzi. Ma allora conveniva farlo prima, prima di essere condannato e avere scontato la pena, rimettendoci la salute, e meglio ancora preventivamente. E bisogna, certo, sape perdonare, ma cristianamente e non gesuiticamente.
astolfo@antiit.eu
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