astolfo
Civile – In politica ultimamente la connotazione viene opposta al potere: la società civile allo Stato, i diritti civili di Carter alle democrazie popolari. Mentre tradizionalmente, in Hobbes, in Kant, e fino a Hegel e Marx esplicitamente, civile era proprio la società politica, contrattuale, in opposizione alla naturale, primitiva, selvaggia. Ma già il primo Rousseau, nella sintesi del “Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza”, aveva rimescolato i termini: la società politica sorge, sulla base del contratto sociale, come superamento della società civile, litigiosa, divisa, e ritorno allo stato di grazia naturale. Gramsci fa grande conto della società civile, ma come fatto sociale culturale (della formazione, del consenso), in contrapposizione al politico (della coazione). L’accezione attuale, in Italia, è Marx: il luogo dove si formano i processi di conoscenza e azione, di realizzazione, la struttura sociale, mentre lo stato è un cappello che si mette in necessario. Un rovesciamento di Hegel, e anche di Rousseau.
Guerra – Non fa più notizia, come una qualsiasi altra attività burocratica, che si svolge con noi, per noi, a spese nostre, ma non ci riguarda. L’Italia ha fatto più missioni in Libia, cioè bombardamenti, che qualsiasi altro paese della coalizione Onu: lo dice il ministro Usa della difesa ma non interessa nessuno in Italia, la notizia non viene commentata e neanche diffusa – e del resto viene dagli Usa giusto come rilievo statistico. Due o tre squadriglie ogni giorni di equipaggi di cacciabombardieri indossano la tuta da combattimento, vanno a Tripoli, sganciano le bombe, fotografano il danno, rientrano, e si rimettono in libertà. Nel vuoto. Il pilota, già soggetto privilegiato della mitografia bellica, è una sorta di bellonauta da playstation, senza nemmeno un vero volto.
È scaduta anche ogni tensione etica legata alla guerra, sui limiti e lo scopo della guerra, la congruità degli ordini, la loro eticità. Forse era scaduta già mentre si celebrava Norimberga, non si è mai potuto accertare la congruità del bombardamento atomico del Giappone. Ma se ne parlava, il Giappone considerando un’anomalia in una guerra sicuramente difensiva, e in una condotta della guerra, quella anglo-americana, tutto sommato limitata benché “totale e a oltranza”. Ora l’argomento risulta strano.
Meticciato – È celebrato ormai stabilmente come incontro di culture, e quindi come arricchimento. L’elogio più celebre resta quello di Senghor nella famosa antologia della Poesia nera africana del 1948, con la prefazione di Sartre, che scrisse per l’occasione il saggio altrettanto famoso “Orfeo nero”, sul razzismo antirazzista, ma la tesi dell’incontro ha una consistente tradizione e dottrina – anche razzisticamente, come incontro di energie vitali diverse. Dopo che per secoli si era sottolineata invece la differenza, fino a stabilire una profusa classificazione, nominale e anche ordinale, degli incroci: mulatto, quarterone, ottavino.
Il fatto è però sempre stato limitato al bianco, europeo, americano, col nero. Più specificamente all’uomo bianco con la donna nera. E ultimamente non tiene conto di differenze che invece possono agire in senso inverso, di un meticciato in cui la parte “bianca” è cioè succedanea all’altra, che non necessariamente è nera. In particolare con gli anglo-indiani, dell’Ovest (West Indies) e dell’Est, e con gli anglo-pakistani, o anglo-mussulmani in genere. Un grande anglo-indiano dell’Ovest, V.S.Naipaul, premio Nobel, viene così a tenere comportamenti che nessun bianco terrebbe: sulle donne, sugli ebrei, sugli africani. Salman Rushdie, per la cui immortalità con la condanna dei “Versi satanici” è morto il suo traduttore giapponese, mentre l’editore norvegese e il traduttore italiano, Ettore Capriolo, sono stati selvaggiamente feriti, con gravi danni fisici e psicologici, non ha mai speso una parola d’interesse, se non di compassione: un’altra mentalità? Mentre a Londra l’oltranzismo degli islamici inglesi che occupava le piazze bruciando libri già venti ani fa, contro Rushdie, è arrivato a far saltare, per puro odio, la metropolitana di Londra nel 2006 con tutti i passeggeri. Una Maïwenn, regista del film “Polisse”, che per conformismo è stato premiato a Cannes – il conformismo del politicamente corretto: premiare una donna bisogna, tanto più se algerina, seppure a metà – dice a “Io Donna”: “Scusate se non mi ricordo di Riccardo Scamarcio”, col quale ha girato il film. È un’altra tipo di donna, figlia di un’attrice algerina molto bella che però per il successo ha dovuto puntare tutto sulla figlia. Questa non è “un’altra storia”, ma anche lo è.
Obama – È l’outsider per eccellenza, senza pedigree, senza passato personale, giusto giovane, magro e un po’ nero. La figura dell’outsider non è nuova nella politica americana, e riattiva d’ordinario la fiducia nell’America, nella democrazia, nell’individualismo. Mentre sono presenze irrilevanti, tanto che non si riesce a percepirne l’irrilevanza. Come mascherine sempre rinnovate, di cui un artista che fiuti i tempi sa adeguare i tratti, su un corpo immutabile.
Il presidente americano è un imperatore, si dice, seppure a termine. Ma non c’è un Napoleone nella serie ormai lunga di presidenti americani, né un Cesare, un generale che sia anche fine politico, o uno dei tantissimi, buoni e cattivi, imperatori romani: proprio per essere al’aria del tempo, il presidente americano è uno che non lascia traccia. Se osa lo uccidono: Lincoln, Kennedy, Robert Kennedy, lo stesso Reagan.
La democrazia non ha bisogno di eroi, si dice anche. Ma di governanti che governano sì. Ora dov’è il governo negli Usa? A lungo è stato nel Pentagono. In questi decenni di globalizzazione è nelle banche, innegabilmente.
astolfo@antiit.eu
sabato 25 giugno 2011
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