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Dante – Come Dio, può essere femmina? Anche D’Annunzio lo dice “ermafrodito” – in una delle “Rime inedite e stravaganti”.
Non c’è nulla in comune tra lima e limone, tinca e tincone, pontefice e ponte, e tra pira, piramide e piramidone, solo paretimologie. Lo stesso si può dire fra Pietra e petra delle “Rime petrose”, Gianfranco Contini si svena a vuoto, lui che pure ha fatto la letteratura del dopoguerra - i dialetti posticci di Gadda e Pasolini inclusi. La donna poteva chiamarsi Eutimia e fare la serva di casa - sempre che di donna si tratti, questo “pietrame” è duro.
Non è però da escludere che le “Rime petrose” siano di Dante. Anacleto Verrecchia documenta l’italianista Schopenhauer perplesso di fronte a “le orribili contorsioni di Dante” e “la laconicità studiata, anzi affettata, di Dante” (in “Schopenhauer e la Vispa Teresa”, 54).
Flaubert – La novità è che non crede – mostra di non credere – alla storia che sta raccontando. Che è in prevalenza la storia di un amore. Nel quale sarebbe personalmente invischiato, l’autobiografismo è prevalente, della prima storia all’ultima, dalle “Memorie d’un pazzo” all’ “Educazione sentimentale” – e, chissà (la cosa non è stata indagata), nella “Bovary”. E invece non è una storia d’amore. Né una storia di anime, d’introspezione psicologica. Flaubert gestisce i personaggi senza cura della verosimiglianza, né con l’amore né con alcuna altra passione, egoismo o insensibilità. Frédéric corteggia Madame Dambreuse senza “sapere” che è innamorata di Martinon e ne è l’amante, cosa che tutti sanno nel suo salotto e in società, o che è una “padrona” per eccellenza, di casa e di affari, sentimentali e pratici. La maschera di Frédéric è l’Étourdi, ma anche qui senza innocenza.
Procedimento tipico è il tirar via le situazioni, imbrogliandole e sbrogliandole in poche righe, anche due e tre volte nello stesso capoverso, dopo averle trascinate per diecine di pagine. È lo sfondo che interessa a Flaubert, e non ad affresco, con la vivezza delle forme, ma con la pennellata distesa, più e più approssimata. Magris registra incidentalmente (nella prefazione a “Kim” di Kipling, ora in “Alfabeti”, p. 258) “il gelo flaubertiano consapevole dell’assenza e dell’eclissi dell’umano”. Che però contrasta con la vita affaccendata, coinvolto, protettivo, di Flaubert intorno a parenti e amici. Thibaudet dice il Frédéric-Flaubert dell’“Educazione sentimentale”, accentuandone l’autobiografismo, “un uomo di tutte le debolezze”. Ma nemmeno questo aspetto è prevalente – della famosa amata dell’adolescenza e di una vita, qui Mme Arnoux, fa anche un ritratto al vetriolo, poco prima del lacrimevole congedo. Ciò a cui Flaubert è interessato è un modo di essere generazionale e sociale, una sociologia.
La riuscita è “doppia” in “Madame Bovary”, che è anche un romanzo popolare: trascinare i lettori, i quali, si sa, leggono perché non sopportano la realtà, la loro vita vissuta, con la vita vissuta, mediocremente.
Le donne amate nei romanzi non hanno un nome, si chiamano madame, col cognome del marito. Bovary invece ha un nome, Emma, e Rosanette nell’“Educazione sentimentale”: sono familiari le donne di piccola virtù.
Italiano – Julien Green, in un’intervista a “Le Magazine Littéraire” di giugno 1989, n. 266: “Leggo enormemente i poeti, nella loro lingua quando mi è familiare, come l’inglese, il tedesco o l’italiano. E ho notato che le più belle traduzioni sono in italiano (Shakespaeare, Rimbaud, Gongora sono dei capolavori anche in quella lingua”.
Kipling – Claudio Magris, che non ha mai smesso di leggere Kipling, fa grande caso nella sua introduzione a “Kim” (ora in “Alfabeti”) di una poesia, “Inno alla pena fisica”, Hymn of breaking strain, che Eliot non giudicò meritevole della sua antologia, “Kipling’s Verse”. Ci trova “la terribile capacità di persuasione, l’impossibilità di vivere che caratterizza la modernità” oppressa dalla fatica incalzante, dal tempo senza tempo. Ma la modernità non c’entra – il dolore fisco o materiale può essere dell’età della pietra. E Kipling, con tutta l’infanzia infelice, è o si vuole un cavaliere se non un costruttore (“Benché distrutti,\ perché distrutti,\alziamoci a ricostruire”, così chiude l’inno).
Ma è vero che ha la hilaritas dell’uomo triste. Ha perduto il figlio in guerra, con la colpa di avercelo mandato volontario. Ha perduto le figlie, straniere in patria. Straniero è lui stesso, con tutto il patriottismo: “L’Inghilterra è un meraviglioso paese, il più bel paese straniero nel quale sia stato”.
Non sufficientemente spiegato in quanto anglo-indiano, in niente diverso dagli odierni anglo-indiani dell’India. In “Kim”, nelle “Storie della giungla”, in tanti racconti. Egli stesso lo spiega in “Miss Youghal’s Seas”: “Curiosa nella vita indigena. Quando si è acquisito il gusto di questo speciale piacere, resterà per sempre. È la cosa più affascinante al mondo – l’amore non eccettuato”.
Dice: “L’autore può inventarsi la favola ma non la morale”. E in questo senso è vero: il racconto coloniale è democratico, illuminista cioè, impegnato, e anzi missionario.
Il pastore Wesley nel Settecento, il predicatore itinerante che fondò il metodismo, aveva destato gli scrupoli delle anime religiose nei riguardi delle “razze indigene”, soprattutto se convertite. Con risultati sorprendenti, dice André Maurois nella “Storia d’Inghilterra” (p.497 dell’edizione Oscar): “
Indifferenza e scrupoli spiegano la sorprendente generosità con la quale a due riprese, nel 1802 e nel 1815, L’Inghilterra restituì alla Francia e all’Olanda colonie che il dominio dei mari le aveva permesso di conquistare. Alla Francia restituì le Antille francesi, l’isola Bourbon (Réunion), il diritto di pesca in Terranova, e diversi altri possedimenti. All’Olanda restituì Giava, Curaçao e Suriname”. Il nonno materno di Kipling era un pastore wesleyano.
Ozio – Friedrich Schlegel, oltre che augurarsi la morte dell’amata per meglio compiangerla, si diletta in “Lucinde” di un trattato dell’ozio, che egli intende essere la vera “gaya scienza” dei trovatori e l’arte della poesia, “l’arte divina della pigrizia”. Mentale?
Romanzo – È, a 150 anni, ancora “Madame Bovary”, o “la vita stessa apparsa” che ci vedeva Sainte-Beuve. Ci sono narrative di altro tipo (Kafka, Joyce, la lista è lunga) ma non altri romanzi. Non tra gli inglesi, anglo-indiani compresi, non tra i tedeschi, non tra i francesi – Proust ha fatto un’altra cosa, dopo aver fallito il romanzo flaubertiano. Non tra gli americani, Melville escluso – come Kafka, Joyce, Proust. Non, a ben vedere, tra i grandi russi, malgrado le formidabili divagazioni di Dostoevskij. Il romanzo è sempre di costumi, e l’ultimo aggiornamento è “Madame Bovary”.
Traduzione – È pericolosa. Il Concilio di Trento la bandì con pene severe, per tutti i testi ritenuti (elencati) sacri, anche se limitata a poche parole.
Dante pure era contrario nel “Convivio”: “E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra trasmutare senza rompere tutta sua dolcezza e armonia”.
letterautore@antiit.eu
venerdì 3 giugno 2011
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