Conan Doyle – Fu rispettoso dei buoni motivi di sir Roger Casement fino alla fine. Al contrario di Conrad, che invece si arrese – da immigrato? – alla protervia inglese.
Borges lo dice per questo irlandese. L’autore della quintessenza dell’inglesità un irlandese non è male. Sciascia, che lo dice naturalmente “inglese fino alla caricatura”, nella postfazione al “Giallo del presidente”, attribuisce a Sherlock Holmes “la mente indubbiamente mediocre del suo autore”. Ma lui si voleva un po’ antica nobiltà anglo-normanna (alle origini il nome ortografando D’oil…), e molto celta, irlandese di nascita, scozzese di formazione.
Nella stessa postfazione Attilio Bertolucci accosta Conan Doyle a Oscar Wilde.
Graham Green gli trova la “melanconia” di Fine Secolo. Quello che Wilde diceva della nebbia: “L’ha inventata il pittore Whistler”.
“Minuzioso e garrulo” lo dice Borges. È vero, è un dettaglista. Cresciuto in una famiglia d’illustratori di libri, grafici.
Anche Giovanni Morelli, lo storico dell’arte, maestro di Berenson e Adolfo Venturi, altro medico sviato come C.Doyle, elaborò il “metodo morelliano”, di attribuzione delle opere, sulla base dei dettagli..
Peter Gay, “Freud”, 230, dice che nel caso “Dora” c’è tutto il metodo Conan Doyle. Freud dunque leggeva Sherlock Holmes? Quasi coetanei, 1858 C.Doyle, 1859 Freud, entrambi appassionati di Oliver Wendell Holmes, il poeta scienziato americano, ma il caso “Dora” è del 1901.
Destra – Annosa è la questione perché la destra non ha una cultura. La destra che più della sinistra fa buone letture. E la risposta è evidente: è della destra politica che si parla, la quale per principio, essendo monocratica (divina, carismatica, unitaria, totalitaria), rifiuta la cultura politica, nega alla radice, d’istinto, che ce ne sia una.
Giallo – Oreste Del Buono ne riporta l’origine a Edipo, il veggente che si acceca. O non ai tanti oracoli, che ognuno poi doveva interpretare?
Esopo ha la favola della volpe che, vedendo impronte di animali davanti a un a grotta, tutte in un senso, deduce che la grotta è del leone.
Dice Jünger, “Al muro del tempo”, 100, trovando S. Holmes “un po’ delinquente”, che “in ciò consiste l’attrattiva dei libri gialli, l’eroe tragico dei quali non è il poliziotto ma il delinquente”.
Il giallo è, come il complotto è, genere democratico: ognuno è un detective, e basta poco per creare misfatti a diecine, ordinari. Ma il giallo s’impone con l’enfasi sulla giustizia, che è il fondamento dell’uguaglianza. Con la democrazia delle stesse situazioni, verbosamente realizzata da Agata Christie, che Eco tenta di nobilitate in induzione, che sarebbe poi la deduzione. Mentre si sa che non è così, e nella sherlockholmesiana e nel noir se ne vedono le tensioni, l’impossibilità pratica: la giustizia è l’ingiustizia. Il sentimento della giustizia cioè è sconfitto. Non alla Manzoni, o alla Sciascia, per l’ambiguità della storia o della provvidenza, ma per le pulsioni invincibilmente perverse degli uomini, e delle donne, e per l’incorreggibile indigenza delle istituzioni.
Sciascia immagina il giudice e l’inquirente pensosi, per un’idea della giustizia astratta, da candido maestro di scuola. Ma nessuno autore vero di gialli si attende nulla dai giudici. Il che ha a che fare con la giustizia – che non è un fatto di tribunali – ma di più con l’enfasi anarchica che sta all’origine della fortuna del genere - dei giudici Le Carré dice, in morte del padre (“Sunday Times”, 16 marzo 1986), che hanno presa su un certo tipo di donna, di quelle che scrivono lettere, anche sconvenienti. È insomma un gioco, ha ragione Kipling. Divertente anche, se non ci fossero i morti. Senza disprezzare il fenomeno secondario: indurre la credenza pubblica, il regime politico è ancora elettorale. Ma sui segreti non bisogna indulgere.
Keynes – È per Schumpeter, nel necrologio firmato del 1946, “economista del breve periodo”. O “economista della depressione”.
Kipling – Lionel Trilling dà a Kipling il primato “dal punto di vista antropologico”. In realtà l’antropologia di allora era fortemente gerarchica e razzista. Il punto di vista antropologico di Trilling, cioè l’apertura alle culture locali, era per un europeo all’epoca di Kipling un esercizio molto solitario. Soprattutto nella cultura – meno nel commercio e nella politica.
Kipling fu il primo a scrivere e pubblicare un pamphlet conto la colonizzazione del Congo, “The crime of the Congo”. Poi lavorò per una riforma del colonialismo belga.
Pound – Ismail Kadaré (“Dante, l’incontournable”) ha “il candore di Pound”. Ineccepibile. “Il candore” Bontempelli disse il “carattere originante” di Pirandello in morte del drammaturgo, che spiegò come “una forza elementare”, intrattabile: “L’anima candida non fa concessioni...., va facilmente al fondo delle cose, raggiunge i rudimenti immutevoli”.
Molto (o poco) fascismo può dunque essere “candore”. La figlia Mary De Rachewiltz lo dice “refuso del fascismo” (nella sua raccolta “Polittico”, 22).
Augusto del Noce, “Suicidio della rivoluzione”, 16, dice il fascismo il tentativo, fallito, di una rivoluzione, più adeguato del marxismo-leninismo alla più matura civiltà occidentale. Nicola Matteucci in un’intervista del 1996 dice di più: “Lo Stato sociale è stato inventato da Benito Mussolini, checché ne dica la sinistra. L’Italia fascista era considerata all’avanguardia nel mondo, tanto che il gruppo degli intellettuali rooseveltiani guardava con molta attenzione al nostro paese”.
Il silenzio, prima della condanna e dopo la liberazione, è un fatto. Mary De Rachewiltz, nella postfazione ai “Radiodiscorsi”, spiega che Pound taceva perché, secondo la legge Usa, è una maniera di dichiararsi innocenti. Ma Pound innocente si riteneva davvero: non ha sentito il bisogno di scusarsi (un caso analogo in grande formato è Heidegger). Fino all’ultimo non ritenne il fascismo una colpa, e nemmeno l’antisemitismo. Come per altri fascisti di fede l’ebreo resta abominevole, per impersonare l’odiato denaro.
Hannah Arendt, nel “B. Brecht” scritto per il “New Yorker” nel 1966 (ripreso in “Vite politiche”), lo equipara a Pound. Ma non dice qual è il prezzo che deve pagare la poesia quando si compromette con la politica. Non ci mescola nemmeno la poesia civile: solo una voglia d’identificazione con la storia.
Sherlock Holmes – Nessuna delle regole di inferenza riconosciute e accettate è in grado di ottenere risultati normativi da inputs puramente descrittivi. Argomento svolto con ottimi risultati da Alfred Ayer, “Language, truth and logic”, cap. VI, 8, 2da edizione. Anche Herbert Simon conviene, “La ragione nella vicenda umana”, 17.
Piero Sraffa ne era accanito lettore.
Simmel, “Metropoli”, ne fa uso non citandolo. S. Holmes anticipa il metodo sociologico di Simmel, e filosofico (letterario?) di W.Benjamin:
1)vedere il simile nel dissimile, analogie, corrispondenze, connessioni, tra ciò che appare a prima vista dissimile e distante. L’effetto di “reciprocità”.
2)l’aspetto spettrale degli eventi. E la razionalità di scopo weberiana – sostanziale, non logica.
3)l’intensificazione della vita nervosa indotta dalla città – S. Holmes, droga a parte, non potrebbe funzionare in campagna o in provincia.
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