Hanno brindato e ora vanno all’incasso: le amministrazioni comunali, soprattutto del Centro-Nord, che in virtù dei referendum sono tornate padrone incontestate del patrimonio idrico. Mentre al Sud l’incauto Vendola vuole fare dell’Acquedotto Pugliese, suo monumento alla vergogna, un bastione “rivoluzionario”, come dice lui, inattaccabile, le giunte di sinistra al Centro e quelle leghiste al Nord sono subito partite all’attacco per rinegoziare le con cessioni. Quasi tutte con proprie concessionarie, con società dell’acqua cioè a maggioranza pubbliche sebbene di diritto privato. Ma l’occasione è ghiotta per imporre tariffe più alte (referendum?), dovendo escludere ora le partecipazioni private.
Mentre Vendola insomma si limita a qualche posto in più, ritrasformando la Spa Acquedotto Pugliese in ente, al Centro-Nord gli amministratori locali passano all’incasso. È una sorta di riappropriazione “privata”, cioè a fini particolari benché opera di amministratori pubblici, che i referendum contro la legge Ronchi era intesi a promuovere, e l’effetto è immediato. La legge tendeva a fare dell’acqua un patrimonio “pubblico” nel senso più completo, cioè da amministrare oculatamente. Mentre era e sarà vista come una fonte d’introiti per i sindaci bulimici.
Il caro-acqua potrebbe serre anche consistente. È a questo punto, cioè dopo i referendum, che il fatto curiosamente emerge sui grandi giornali d’informazione. “Senza i privati\ più tasse o tagli”, ha strillato ieri il “Corriere della sera” in prima pagina. Dopo aver proposto i referendum come una festa. Anche “Repubblica” e “Il Sole 24 Ore”. Oggi il “Corriere della sera” riscopre i vecchi dati (di almeno vent’anni) sullo sperpero dell’acqua: che il Veneto delle montagne e il Piemonte orientale non pagano l’acqua, che Milano la paga un decimo di Roma, etc . È un po’ la riscoperta dell’acqua. Che però, se ha un significato (ce l’ha), dice che pagheremo l’acqua molto più cara, proprio grazie ai referendum.
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