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Coscienza – “Coscienza, coscienza! istinto divino, immortale e celeste voce…”, così la celebra Rousseau al libro IV dell’“Emilio”. È un atto di fede romantica del vicario savoiardo, che non intacca l’opera di Rousseau – ma sì il “pensiero”? È atto di fede comune.
La coscienza, dice Kant, “è un’altra persona, in tribunale sarebbe il giudice”. Un’altra nel senso di altra da sé, “una persona ideale, che la ragione si procura da se stessa”. Questo giudice ideale “dev’essere uno scrutatore dei cuori, perché si tratta di un tribunale posto all’interno dell’uomo”. C’è allora da stabilire cos’è il cuore, che non è il muscolo. È la coscienza? Sarebbe una tautologia. Non sarà Dio? È così: “la delicatezza di coscienza” Kant dice “che si chiama anche religione”.
In Hegel è buona cosa. Al noto capitolo “La legge del cuore e la follia della presunzione di sé”. La legge del cuore è quella della rivoluzione. Ma è “coscienza impazzita”, “non essenza”, “irrealtà” - Hegel fu conservatore.
Heidegger insegna che non c’è coscienza buona: “La coscienza richiama sempre un essere colpevole. Un’angoscia «autentica» è rara” - la coscienza, che per i ladri di Vidocq nel Dictionnaire è la morte, e Hitler decreterà essere un’invenzione degli ebrei.
L’esame di coscienza, attesta Diogene Laerzio, lo inventò Pitagora. Perciò sa di esoterico. Poi passò agli stoici. È pratica autogena, rigenerativa. Ma infida per i deboli, inducendo eccitazione, depressiva o euforizzante. Si può dire il seme della paranoia. Senza, però, sarebbe girare senza bra-ghe, e incontinenti. Bisogna contenersi, anche nell’esame di coscienza.
Marx - Era superbo, in questo è reo. Ironico: per un Witz avrebbe dato il “Capitale”. In tutti i rapporti, anche familiari, il criterio della verità diventa per lui distacco critico: io e gli altri. È la forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio dell’umana imperfezione.
L’ironia è il suo lato simpatico, oltre che una grande dote conoscitiva, socratica. Ma è il virus che ne mina la dottrina. Il cristiano si riscatta al confessionale, per quanto ipocrita possa la confessione cristiana essere, il comunista non può pentirsi mai. Pena l’ipocrisia, che è malvagia. Inoltre, ironizzare porta all’insensibilità, non a più conoscenza. Vladimir Nabokov lo vede in aspetto di “traballante e bisbetico borghese in calzoni a quadretti di epoca vittoriana”, il cui “cupo Capitale è “figlio dell’insonnia e dell’emicrania” – ma Nabokov ne condivide il sarcasmo, con punte snob perfino più acute, anche se non sembra possibile. Come l’altro monopolista Freud, che molta buona psicologia ha oscurato, Marx ha per questo vezzo cassato molto socialismo, alle sue radici: la compassione.
Fu marxianamente figlio del tempo, gli anni fra il 1851 e il 1862, quando rintanato nella biblioteca al British Museum ponzò i quattrocento articoli per la “New York Tribune” e la “New American Cyclopedia” e la critica dell’economia, mentre i tribunali disgregavano il comunismo e la corsa alla ricchezza subentrava con la pace alla scoperta dell’oro in California. Più forte del 1789 e del 1848, più esperto anche dei diritti di libertà e miglior filosofo. Benché pure il contrario sia vero: Marx l’Europa potrebbe aver corroso nell’intimo, Stalin non esce dal nulla, o Lenin per questo.
Natura – Quella di Rousseau è, in tutti gli aspetti, innaturale – immateriale, immune perfino gli eventi fisici. È l’umanità, benché primitiva o asociale. Lo stato di natura di Rousseau è la natura umana. Che è troppo varia per essere una, e troppo poco fisica.
Religione – Derrida e Vattimo si chiedevano quindici anni fa (“La religione”) se “quella che malamente si chiama «rinascita della religione» (nei parlamenti, nel terrorismo e nella comunicazione molto più che nelle chiese sempre più vuote) è veramente altro dalla «morte di Dio»” che Hegel evocava, la risposta implicando negativa. Ma la religione è un fatto politico. È il fatto politico primo e più radicale, esclusivo e bellicoso se non terroristico, certamente non irenico.
Anche nel messaggio cristiano, seppure di una violenza non armata.
Scrivere - Si fa per guadagnare: tre quarti di quanto si scrive, quattro quinti, sono un lavoro. Scrivono molto i giudici, moltissimo gli avvocati e i giornalisti, scrivono i diplomatici, i narratori di genere, rosa, giallo, avventura, magia, e le spie, la loro attività è essenzialmente di scrittura, anche se in codice, la scrittura è un codice. Molto scrivono, al contrario di quanto vogliono le barzellette, i carabinieri. Ma si scrive anche, benché meno, per la sopravvivenza psichica, se non per l’immortalità. Come costruirsi la casa, piantare alberi, fare figli: si scrive per essere, i tanti diaristi, filosofi, poeti, narratori.
Scienza - Il cervello, forma vivente per eccellenza, è cento miliardi di neuroni collegati da centomila miliardi di sinapsi. L’Escherichia Coli è un batterio d’un millesimo di millimetro che contiene tremila proteine diverse, le quali interagiscono l’una con l’altra, si controllano, si neutralizzano, si complimentano, la lista delle proprietà di questo millesimo di millimetro è da completare. Talmente complesso che solo vederlo e leggerlo implica qualità sovrumane.
Storia - Non ha senso, né può averne. L’uomo è agli inizi della conoscenza, il linguaggio comincia ad articolarsi. Nuove realtà e nuovi linguaggi daranno conto del mistero. L’astrofisica, per quanto anch’essa agli inizi, elabora realtà al di là dell’esperienza concettuale, della capacità di espressione, di definizione. La biologia bisogna già fermarla, non si padroneggia. La matematica, che in quanto linguaggio umano è anch’essa limitata e limitante, ha più capacità d’arricchimento degli altri linguaggi perché ha impianto non storicizzato, e quindi meno condizionabile. Ma nell’attesa si segna il passo.
La storia non si può dire immobile. Il battito di ciglia è la potenza della grazia. O le pieghe e le righe che fa il torrente di montagna quando incontra una roccia di circa un metro di altezza nella descrizione di Ruskin. Ma non è del tutto mutevole. E ha delle costanti, anche dopo pe-riodi lunghi, che fanno l’anima del popolo. La storia sempre varia e sempre si connette per invarianti. Probabilmente non varia neppure la periodicità. È la fisicità della storia – per riflesso condizionato, sociale o biologico, o per un destino? Nella storia gli elementi periodici sono importanti, e non gli avvenimenti, annota Jünger nel ‘39, averne perduto la consapevolezza è una delle cause della rovina incombente. Che non vuol dire che se è già avvenuto avverrà, ma che bisogna vigilare. O la verità è che non abbiamo storia, non abbiamo passato? Ce l’abbiamo ma possiamo cambiarlo, questa è la verità della storia. Più spesso ci viene cambiato, da un terremoto, una carestia, dalla Bomba, ma si può cambiare.
zeulig@antiit.eu
giovedì 9 giugno 2011
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