La tripla vita che Michele Sparacino non ha avuto. Non ha potuto avere per la stupidità e l’insolenza dell’“Italia”: colpevole di ogni misfatto quand’era in fasce, insolentito e minacciato quando in guerra obbediva da eroe, Milite Ignoto al Vittoriano esumato dalla sepoltura anonima. Un “timpuluni”, direbbe Montalbano-Camilleri, una sberla all’Italia che si celebra, politica e giornalistica. Il primo di una serie di quindici racconti che Camilleri ha scritto “per divertimento”, spiega in un lungo colloquio con Francesco Piccolo che prende la maggior parte del libro e non è meno saporito del racconto.
Nel colloquio Camilleri, felicemente appagato, spiega la sua “carriera” di inedito. Il rapporto col padre mussoliniano. Il metodo di lavoro, estremamente ordinato: ogni Montalbano è di 180 pagine word, divise in 18 capitoli, di 10 pagine l’uno, ogni racconto di 24 pagine divise in 4 capitoli di 6 pagine l’uno. La sua lingua, nata su Pirandello: su uno scritto del 1898 (“Quando un piemontese e un siciliano si incontrano come parlano? In realtà traducono dal loro dialetto”), e sul suo adattamento dialettale del “Ciclope” di Euripide, teatrale, per cui il dialetto si modella sul personaggio, sul censo, il ruolo, la classe o l’ambizione sociale – un uso già molieriano. Come dire insomma che la felicità del racconto, o c’è o non c’è.
Andrea Camilleri, La tripla vita di Michele Sparacino, Bur, pp. 93 €8
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