Vera o sceneggiata che sia la frattura all’interno della Lega, sui rapporti con Berlusconi e quindi col governo, il federalismo finirà nel nulla, senza decreti attuativi. Ci vorrebbe un colpo d’ala: un forte pressing politico e una priorità assoluta rispetto all’agenda politica che sta emergendo, che vede in primo piano la riforma elettorale. Ma questa spinta non c’è né al governo né fuori, nei media e al Quirinale. Sembra anzi che la Lega vanga lasciata volentieri a cuocere nel suo brodo, non ha più alcun referente esterno. Lo stesso Bersani se ne guarda. Mentre il Pdl intravvede la possibilità di una rimonta, proprio sulle ceneri della Lega più che su quelle dei finiani.
Il Pdl non dichiara l’opposizione al federalismo. Tanto più nella sua riedizione “democristiana”da futuro Grande Centro: il localismo è la parte più robusta del bagaglio politico confessionale e Alfano se ne dichiara primo sostenitore. Ma non farà nulla per facilitare la riforma avviata dalla Lega. Tra le prime iniziative del neo segretario del Pdl c’è il rilancio del partito nel Veneto e in Piemonte, regioni che il Pdl ritiene “scippate” da Bossi al momento del varo delle candidature, Veneto e Piemonte.
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