sabato 30 luglio 2011

Heidegger teologo

Sacerdote secolare e parroco, Heinrich Heidegger, uno dei figli di Fritz, ha un concetto forte della famiglia, di cui non sa pensare che bene. Dello zio Martin, “il Professore”, ha visione perfino angelica – come della zia Elfride. Avendo sempre avuto dal filosofo segni di vero interesse, negli studi, nella vocazione, all’ordinazione, e alla sua prima “presa di possesso” parrocchiale, nonché nell’organizzazione del proprio funerale. In un solo punto i suoi ricordi coincidono con la biografia demoniaca, quale è nota, dello zio: venuto a sapere da Erika Semmler, sua ex allieva, funzionaria del ministero delle Donne, nell’ottobre del 1938 che ci sarà la guerra, subito telefona a Fritz in banca e gli chiede di redigere cinque copie dattiloscritte dei propri lavori non pubblicati per assicurarne la posterità, da conservare in cinque posti diversi – copie che Fritz realizza rapidamente, senza errori.
I ricordi di don Heinrich ottantenne, qui raccolti da Pierfrancesco Stagi, sono utili per la figura del proprio padre Fritz, che esce con una ben diversa caratura rispetto all’oleografia del buontempone barzellettiere: uomo di pochi studi, con suo costante rammarico, per problemi di salute in gioventù, era appassionato di teologia (come già Martin nei primi due anni di università, al Collegium Borromaeum di Friburgo, il convitto teologico arcivescovile), e l’amicizia ebbe costante col fratello perché era suo maggiore, di cinque anni, e perché lo comprendeva, era in grado di apprezzarne i lavori. Del filosofo il nipote conferma la religiosità innata - compresa la gita-pellegrinaggio ogni anno dei due fratelli al monastero benedettino di Beuron, in omaggio alla stessa pratica della propria madre. E spiega i tanti motivi che Martin ebbe a un certo punto di allontanarsi dalla pratica cattolica, per le troppe forme di chiusura della chiesa a ogni modernità e perfino a ogni intelligenza. Specie in Germania, in conseguenza del Kulturkampf - i cui effetti si trascinarono fino al concordato del futuro Pio XII, 1933. I fratelli Heidegger bambini si spostavano con la famiglia da una chiesa all’altra, in dipendenza dalle lotte tra le fazioni. Quando Martin provò a farsi gesuita dovette andare a Tisis in Austria, presso Feldkirch, i gesuiti non erano ammessi in Germania.
L’argomentata introduzione di Stagi, studioso sperimentato della religiosità in Heidegger, riesce a calibrarne il fondo, costante nell’arco della sua molteplice vita, per un triplice interesse: la conoscenza e l’amore delle Scritture, da “monaco medievale”, la proposta di Lutero come “affinamento” del cattolicesimo, e i costanti molteplici riferimenti ai temi religiosi e del sacro. Quello che Heidegger stesso chiama “la spina nel fianco”, scrivendo a Jaspers, la sua appartenenza al cristianesimo romano, diventa la “fonte viva” della sua riflessione. Si può dire questa una delle poche certezze nella revisione in corso dell’opera e del senso del filosofo del Novecento. Al quale peraltro si deve una non comune “Fenomenologia della vita religiosa”, un “Fenomenologia e Teologia”, e moltrte altre riflessioni sulla religione – un fondo già variamante analizzato soprattutto in Italia, da Vattimo, Cacciari, Agamben, Vitiello, de Vitiis. Su un semplice presupposto, nota Stagi: “Il cristianesimo ha già modificato a livello ontologico l’essere dell’esserci dell’uomo occindetale”. Per la verità (radicalità) del Cristo: “Il cristianesimo come storia è radicato nella verità della storia, anzi è tale solo perché la verità si è rivelata nella storia” – non è una religione come le altre.
Heinrich Heidegger, Martin Heidegger mio zio, Marietti, pp. 106 € 11

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