Non c’è in realtà cecchinaggio di visioni o presentimenti in questa antologia di inediti dal 1848 al 1969, il periodo pubblico e celebrato del poeta, tra Vienna e Parigi. Tre volte esule, in quanto ebreo, in quanto tedesco, e in quanto rumeno, innamorato di Ingeborg Bachmann ma sposato prudentemente a Parigi, con una francese, Celan finirà per cedere al presagio di morte, buttandosi nella Senna. Ma qui (una parte del lascito di circa 500 componimenti inediti) esercita al meglio la creatività fonetica e semantica che ne fa il migliore linguista del tedesco del Novecento. Insieme con un’altra “minoritaria” tedesca di Romania, Hertha Müller, originaria del Banato, quasi che la formazione dialettale apra le chiavi più segrete di una lingua. O la disintegrazione, variamente causata, dell’io.
Celan è il poeta che più si beatifica del tedesco, che più se la spassa con questa lingua. Un ebreo della Bucovina cresciuto tra yiddish, rumeno e russo, con poche parole tedesche mediate dalla madre, finita poi a Auschwitz, che per venti anni ha vissuto a Parigi con moglie e figlio francesi. Tanti bei suoni ne trae fuori, tanti arricchimenti v’introduce. Ma, a differenza per esempio di Hannah Arendt, la filosofa della “lingua materna”, per un bisogno singolarmente di testa: la sua lingua materna arricchisce di novità asettiche, matematiche, naturalistiche, glottologiche. Come un Joyce, un giocoliere della parola, che si esercitasse su una sola lingua, e questa è il tedesco.
Una creatività più spesso esemplare degli automatismi della follia (Merini, Hölderlin), la scrittura che per immagini e suoni meglio risponde a un io frantumato, asintattico. Non è possibile una “sistemazione” di Celan, una lettura critica ordinata, perché i suoi versi emergono da giacimenti profondi, nascosti. Cioè, tutto sommato, magmatici, confusi. Ci sono molte sorprese ma non impressioni durature, dopo lo sconcerto. Questo tipo di scrittura agevole, non lambiccata ma fredda, moltiplica l’effetto straniamento di molta poesia orfica, da Hölderlin alla Merini, una scrittura automatica alla surrealista. Che costeggia i misteri (morali, logici, storici) senza inciderli.
Anche il suo corteggiare i personaggi dell’epoca è avulso, dalla Bachmann a Heidegger e a Dürrenmatt. È freddo: è il ricercatore che si aspetta sempre la risposta di rimbalzo.
Paul Celan, Sotto il tiro di presagi
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