Questa edizioncina per i sessant’anni della Bur è il cap. II de “Il Potere. Come usarlo con intelligenza”, un terzo dell’opera intera, di cui però contiene le novità. Dietro quella più generale, del potere considerato come attività, il fare, universale quindi e inevitabile.
Hillman ne analizza in dettaglio una ventina di manifestazioni. Alcune con più insight. Il controllo, l’esibizionismo, la leadership, che dev’essere occulta, la tirannia, il “potere sottile” (pedagogia, filantropia, piacere….) . Ne fa la fenomenologia, al modo, avverte, come Gertrde Stein diceva di Oakland, che “là non c’è alcun là”: “Una fenomenologia ritiene che non esista una cosa, come il potere, in sé e per sé”. Con i lampi che sempre ravvivano le sue riletture: Ercole è il “mangiatore di manzo”, mentre il bell’Adone coltiva la lattughina, fascinum è un amuleto scacciaguai che i romani portavano al collo, in forma di pene, il “senno di poi” è in tutte le lingue (after-wit, esprit de l’escalier). Talvolta epigrammatico: “Le galline sono capaci di uccidere i galli”, “il sadismo è l’erotica della paura”.
Un saggio di Silvia Ronchey situa Hillman nella psicologia, nella ripersa degli archetipi junghiani. Là dove il suo scavo teorico è più debole - seppure forse proficuo terapeuticamente, la depressione rappresentando come una sorta di entrata nel paese delle meraviglie, l’inizio della vita complessa, l’orfismo della morte rigeneratrice.
James Hillman, Gli stili del potere, Bur, pp. 115 €4,90
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