Ha l’handicap dell’“amore platonico”. Che ritorna a ogni pagina (un paio di volte perfino in “idea platonica). Per dire dell’amicizia nell’amore con la moglie, anche se, cinquantenne, è sempre lontano con la carne giovane. E del “si”, questo toscanismo castrante già all’epoca (1979) morto. Sono gli unici nei in una storia scritta di getto e tuttavia misurata e pregna di senso – di sensi. L’odore del sangue, da cui tutto germoglia, un ricordo di guerra, è declinato in cento chiavi, tutte calzanti, concludenti, incisive: dolce, esilarante, pieno di linfa, odore dell’origine della gioventù, della passione, della vita.
Il cosiddetto platonismo è però la chiave della vicenda, dove la violenza è in agguato. È “il vero romanzo di Parise”, può dire Giacomo Magrini, che ne ha curato la pubblicazione postuma. È la summa dell’amore estremo (libero, voluto, a ogni istante rinnovato) di coppia, che è il segno dell’epoca – di cui Parise potrebbe avere scritto “il romanzo”, più bello e definitivo, anche nell’eccesso di sperma che ancora fa diffidare molti-e. Nel solco dell’“amore amato” che ha fatto la storia occidentale - anche se il Duecento rifuggiva dalle crudezze. Resta una moderna carte du tendre, una cartina dell’amore a scala Igm, con isobare minuziose, una miniera e un trattato informale se non definitivo, che in materia non è possibile, di quello che l’amore è, “si sa”, “come è noto”, e non è. Malgrado le solite approssimazioni parisiane: Grazia, la ricca e generosa ospite fiorentina del narratore e della moglie, ha “grandi occhi ebrei”, la “forza della ragione protestante”, e “a correzione del protestantesimo” ha “la pietas cristiana”. E l’ingombro di Garboli.
La presentazione di Cesare Garboli, che fa ormai parte del testo, è tanto puntigliosa e affettuosa quanto tetra (gli amici sono un dono, talvolta ingombrante): ne fa “un romanzo invece di una cura psicanalitica”, a sfondo autobiografico. Mentre Parise era semplice, e in fatto di sesso non portato alla gelosia: era uno che si masturbava a Milano, quando faceva il redattore editoriale e divideva per risparmiare una stanza in albergo con Nico Naldini - è vero invece, purtroppo, ciò che Garboli gli porta a vanto, che invitava Gadda a colazione per dileggiarlo, disseminando la casa di ciclopici falli di cartone (dopo avere avuto cura, va aggiunto, di prendere casa nello stesso palazzo di Gadda, per poterlo incontrare casualmente). Insistente, per lunghe pagine, Garboli ne fa il romanzo della gelosia, mentre è, con ogni evidenza, una trasposizione o proiezione: un’immedesimazione, e il rimpianto, di una passione travolgente che non è, o non è stata, nelle corde del narratore.
Goffredo Parise, L’odore del sangue
venerdì 8 luglio 2011
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