Torna la chiesa prim’attrice degli affari italiani, dopo il lungo intervallo di papa Woytiła, e torna la speculazione edilizia. A Milano non è mai cessata. A Roma, dove ha possedimenti immensi da valorizzare, il Vicariato è all’opera per un nuovo sacco. Ora nella zona Nord-Ovest, nei quartieri Aurelio e Monteverde, dove i terreni erano stati frazionati fra i tanti ordini di frati e suore. Cessando l’attività di molti di questi ordini per la crisi dei ruoli e delle vocazioni, conventi, case-madri, scuole, istituti vengono rapidamente ceduti per la valorizzazione immobiliare. Chiavi in mano.
È questa la formula risolutiva del business, che mette i costruttori in grado di vendere, e gli investitori di comprare con sicurezza, prima ancora di avviare la costruzione: il venditore è garanzia che le pratiche procedono senza intoppi e nei tempi, per il souci d’éfficacité che è sempre stato il marchio vaticano. I progetti di valorizzazione fioriscono già muniti di ogni crisma regolamentare, anche contro i vincoli alla valorizzazione – verde, impatto ambientale, servizi, parcheggi, antropizzazione. Che così diventa un affare imbattibile, moltiplicando per dieci e anche per venti le volumetrie rispetto alle vecchie case di religiosi, in altezza e in superficie, cancellando tutte le aree verdi, moltiplicando la densità abitativa e l’intasamento. I margini diventano così enormi.
Il guadagno per il vicariato dev’essere così robusto. Al punto che la politica della valorizzazione viene spinta anche contro gli interessi delle parrocchie. Nel quartiere romano di Monteverde, una scuola raddoppiata in volume e venduta ai bei tempi, cinque anni fa, come immobile di lusso ha tra i nuovi proprietari irriducibili laici, che hanno fatto causa all’adiacente parrocchia contro il suono delle campane, “fonte di angosce”, e l’uso pomeridiano dei cortili come oratorio per i ragazzi, e l’hanno vinta.
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