lunedì 11 luglio 2011

La droga è il Grande Fratello

Un’allucinazione posata, quotidiana, alla Orwell. Una rappresentazione pratica, fattuale, dell’io diviso di Laing un decennio prima: la fantascienza della droga è purtroppo reale. L’anticipazione del Grande Fratello, seppure proiettata al 1994, quando Dick, nel 1977, immagina che i fatti si svolgano – il format oggi l’avrebbe reso miliardario. È il mondo della Sostanza M, come morte, in inglese D(eath), droga. Che viene in pasticche, da laboratori non tanto clandestini nelle migliori città, benché la sostanza sia proibita, in tubetti da un centinaio, come le aspirine. Con telecamere nascoste in ogni stanza, all’insaputa degli inquilini. Con effetti agghiaccianti: il gesto privato più insulso, anche solo grattarsi, vi assume senso mostruoso – il privato è indicibile? la comunicazione (codici, leggi, affetti) può solo essere canonica? convenzionale, seppure per imprinting. Lo stato normalmente allucinato di tutti i personaggi, compresi quelli che gestiscono l’Autorità, sotto l’effetto delle droghe, compresa l’antidroga, dà alla comunicazione-rappresentazione, in una sorta di rompete le righe, il carattere di un’ossessione.
Titolo paolino, con citazione dalla prima lettera ai Corinti, nonché da Teilhard de Chardin e dal “Faust” di Goethe, per una sorta di armageddon dell’età della droga, cui i curatori Carlo Pagetti e Francesco Marroni attribuiscono velleità anche “teologiche” – da intendersi come spinta religiosa? Per il romanzo della costante degradazione mentale indotta dai paradisi artificiali, il delirio persecutorio, l’interminabile circolare paranoia. Di cui la narrazione si vuole specchio impegnato, morale, pedagogico. Un’opera ambiziosa con cui Dick puntava a uscire dal genere fantascienza per la quale è famoso, che ha ispirato molti film, da “Blade Runner” a “Next”, per impiantarsi infine nel mainstream, essere riconosciuto grande scrittore. Un lustro prima di morire a 54 anni di ictus. Di fantascientifico c’è qui solo un’allegorica “tuta disinvidualizzante”, una “membrana sottilissima” cui un computer può dare in pochi minuti – Google l’avrebbe fatto in istanti – conformazioni e colori diversi attingendo da una banca dati di “un milione e mezzo” di fisionomie diverse.
Dopo quarant’anni il libro è vivo, a dispetto della monotonia della storia. E della stessa robusta cognizione che Dick dimostra della psichiatria della lateralizzazione, del “cervello diviso” anche materialmente, Joseph Bogan, Arthur Wigan, Miers e Sperry. Nonché dei diversi effetti delle diverse droghe, anfetamine, acido, funghi, eroina, hashish, l’oppio, e le tante sintesi chimiche. È in effetti un’anticipazione del presente qual è nella storia, di paure e vergogne, pur rappresentando un mondo senza luce. Il mondo paranoico dei paradisi artificiali, intercambiale per il costante delirio persecutorio, la psicosi del complotto permanente, di drogati-sbirri bugiardi anche con se stessi per avere perduto ogni nozione della realtà, nell’avvitamento elicoidale, una vite senza fine, dell’allucinazione costante. Con storie-lampo anche comicamente irresistibili: come nasce una leggenda, le varie declinazioni della gravidanza isterica, o l’impostore che “buca lo schermo” facendo l’impostore.
Philip K.Dick, Un oscuro scrutare, Tif Extra, pp. 329 € 9,90

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