Ecco cosa si poteva scrivere a dicembre 1994, all’indomani di un’altra finanziaria “storica” di Berlusconi, quella che doveva risanare alla radice il debito pubblico e il mercato del lavoro con una riforma radicale delle pensioni – ma non ancora approvata e saltata qualche giorno dopo a opera del presidente Scalfaro e di Bossi (Scalfaro lo sostituì con Dini, l’artefice della riforma delle pensioni…):
“Dai che ce la fai! «Arrivati al punto di rottura, quando il governo sta per inabissarsi, sfiancato dalle loro critiche e dai loro giornali, i grandi imprenditori danno una mano a Silvio Berlusconi: non lo vogliono morto, lo vogliono debole». Così un alto dirigente della Confapi, l’associazione della piccola e media industria, vede l’altalena di sferzate e incoraggiamenti che dalla Confindustria sono venuti al presidente del consiglio. Ancora a metà novembre il direttivo dell’organizzazione ammoniva Berlusconi a non rompere la concertazione e la pace sociale. Due settimane dopo, lunedì 28 novembre, i presidenti della Fiat e della Olivetti, Gianni Agnelli e Carlo De Benedetti, lo incitavano alla fermezza.
“La voce della Confapi può essere o no veritiera. Ma una cosa certa la dice: c’è polemica più forte che mai tra i piccoli e i grandi imprenditori, e questo a proposito del governo Berlusconi. «Do un giudizio molto positivo di Berlusconi come presidente del consiglio e molto positivo anche del suo governo», tiene a far sapere Alessandro Cocirio, l’imprenditore torinese che presiede la Confapi. «Forse», precisa, «dopo i primi cento giorni s’è impantanato», ma la responsabilità, aggiunge, «è sopratutto dell’industria dei media che l’ha bersagliato come mai nessun altro governo, e di un’opposizione massimalista». Sulla stessa lunghezza d’onda è, all'interno della Confindustria, il Comitato della piccola industria presieduto da Giorgio Fossa (poi presidente di Confindustria, n.d.r.). Mentre Ivano Spalanzani, presidente della Confartigianato, l’organizzazione più rappresentativa delle piccole imprese artigianali, si dice «grato a questo governo se non altro perché ha finito di colpevolizzare i piccoli operatori che hanno la partita Iva». Che «pagano cioè le tasse e osservano le leggi» e, aggiunge polemicamente, «non portano i soldi fuori per speculare contro la lira». Spalanzani apprezza anche «il lavoro di disboscamento intrapreso dal ministro delle Finanze (Tremonti, n.d.r.) sulle diecine di inutili, ma costosi, adempimenti formali».
“C’è una sorta d’identificazione psicologica tra i piccoli imprenditori e Berlusconi, cresciuto in pochi anni da immobiliarista a secondo gruppo italiano. «Il presidente del consiglio non è uno dei loro», afferma la solita voce Confapi, «pur essendo un grande imprenditore, e così pensano di poterlo tenere sotto tutela». Una considerazione che introduce però a un altro aspetto del rapporto tra gli imprenditori e Berlusconi. Un aspetto che i piccoli rimproverano al presidente del consiglio di accettare supinamente: Berlusconi priviligerebbe i rapporti con i big degli affari. Del resto, lo stesso presidente del consiglio ha detto di aver tenuto da ragazzo l'avvocato Agnelli «come la Madonna sul comodino».
“Ma è vero che sono bastate le dichiarazioni di Agnelli e De Benedetti per dare a Berlusconi nuova baldanza alla verifica politica del giorno dopo in consiglio dei ministri, e alla trattativa con i sindacati il giorno successivo. Se non erano preordinati, quegli incitamenti, certamente sono venuti nel momento più opportuno, e sopratutto sono stati efficaci. Per gli industriali, perché la Confindustria confermava, alla vigilia della trattativa con i sindacati, che «la pace sociale serve a tutti, ma la manovra sulle pensioni è indispensabile». E anche per Berlusconi, perché, spiegava un suo collaboratore a palazzo Chigi, «in uno scontro su pregiudiziali politiche, e non per il miglioramento della finanziaria, conviene tenersi fermi agli interessi del Paese».
“Come andrà a finire? Si schiereranno gli imprenditori con Berlusconi o lo abbandoneranno? Un governo aperto ai problemi dell’impresa e rigido sul risanamento della finanza pubblica è ritenuto a questo punto indispensabile da tutti gli imprenditori, grandi e piccoli. La riposta è univoca e molto chiara, e nasce da quattro problemi precisi, aperti o che stanno per aprirsi. Il più grave è quello temuto: un giro di vite fiscale, se la finanziaria sarà insufficiente e a gennaio, o in primavera, ci sarà bisogno di una manovra-bis. «Potrebbe soffocare la ripresa, stiamo rischiando grosso», è il grido d’allarme di Cocirio, di Spalanzani, di Alessandro Riello, che in Confindustria presiede il Comitato dei giovani imprenditori, e della stessa Confindustria.
“L’altra preoccupazione comune è la politica monetaria e il costo del denaro. «Plaudire alla lira debole perché favorisce le esportazioni è proprio da somari», afferma con decisione Riello: «Con la stessa lira dobbiamo comprare le materie prime, rame, alluminio, ferro, cellulosa, fonti di energia. C’è stato già un rincaro del 30 per cento per effetto della svalutazione della lira, che dentro l’anno arriverà al 50 per cento per l’effetto congiunto della ripresa della domanda internazionale». “L’effetto positivo sulle esportazioni della lira debole si compensa negativamente con le importazioni. «La volatilità del cambio ora è rischiosa per le aziende», commenta il presidente dell’Assolombarda Ennio Presutti. Ma sopratutto pesa il costo del denaro: «Due punti d’interesse in più rispetto ai tassi tedeschi ci costano 35 mila miliardi», ha calcolato De Benedetti, mettendo nel conto la finanza pubblica e le imprese.
“Poi c’è il rilancio delle opere pubbliche: l’edilizia è in crisi da quasi tre anni. E la regolamentazione del lavoro flessibile, o «interinale», insomma del lavoro in affitto tramite le agenzie, previsto dall’accordo governo-sindacati del 23 luglio 1993. «Senza il lavoro interinale non ci sarà una ripresa effettiva del mercato del lavoro», affermano Riello e Cocirio. Molte piccole imprese aspettano ad assumere per poterlo fare tramite le agenzie nella nuova forma. Quanto allo sblocco del settore edilizia si punta molto sul project financing introdotto martedì 29 novembre dal decreto legge per la ricostruzione del Piemonte. Un disegno di legge del giorno successivo intende estendere il project financing a tutte le grandi opere pubbliche.
“Per sbloccare le opere pubbliche bisogna che il governo rimanga in sella. E così per gli altri tre grandi problemi: il bisogno di stabilità è prevalente e va a favore di Berlusconi.
“Sotto i problemi restano però le pulsioni di fondo, di amore o di odio. Il rimprovero che i piccoli muovono a Berlusconi, di aver privilegiato i grandi imprenditori, è in effetti una manifestazione di gelosia. A Berlusconi viene rimproverato perfino il cerimoniale dei ricevimenti a palazzo Chigi, che sarebbe più riguardoso verso i grandi. Giovedì 1 dicembre, al momento della drammatica decisione sulla finanziaria, il presidente del consiglio ha ricevuto la Confindustria nel suo studio al primo piano, attiguo alla sala del consiglio dei ministri, e le 15 delegazioni dei piccoli imprenditori, dalla Confagricoltura alla Confcommercio, al quarto piano, nella fredda Biblioteca Chigiana. Ai sindacati era stata invece riservata per lunga consuetudine la Sala Verde al terzo piano, appositamente attrezzata. «Ma noi tutti insieme siamo quasi 6 milioni di operatori», osserva dispiaciuto Spalanzani. Come dire: dagli altri vengono le pacche sulle spalle, da noi i voti.
Un sentimento d’identificazione analogo pervade i piccoli della Confindustria, Michele Perini e Adolfo Guzzini non sono contenti del distacco che il presidente della Confindustria, Luigi Abete, ha manifestato più volte nei confronti del governo, per ultimo con il pranzo organizzato per i leader sindacali l’1 novembre e con il freddo comunicato all'indomani della manifestazione di protesta a Roma il 12 novembre. Con il governo sono anche imprenditori autorevoli, come Gianmarco Moratti, presidente dell'Unione petrolifera, Vittorio Merloni, il bolognese Giuseppe Gazzoni Frascara, il costruttore Michele Matarrese, fratello di Antonio, presidente della Federcalzio, l’industriale dei giocattoli Stefano Clementoni.
“Analogamente sull’altro fronte, persiste la ripulsa negli antiberlusconiani di sempre: gli imprenditori di sinistra Giancarlo Lombardi, Attilio Oliva, Piero Pozzoli, Francesco Averna, che hanno come punto di riferimento Carlo De Benedetti. Il patron della Olivetti ha avuto nelle ultime settimane molti incontri ravvicinati, a palazzo Chigi e conviviali, con Berlusconi, il coordinatore di Forza Italia e ministro della Difesa Cesare Previti, il vicepresidente del consiglio e ministro delle Poste Giuseppe Tatarella. E il 29 novembre ha avuto dal governo la convenzione definitiva che fa del suo consorzio Omnitel il secondo gestore italiano del telefonino europeo. Ma non intende dare alla sua dichiarazione del giorno prima in favore della finanziaria il significato di un’apertura di credito.
La novità è nel gruppone di centro, per così dire, della Confindustria, né pro né contro Berlusconi a priori. Era il gruppo più consistente, per interessi se non per numero, ed è dalla sua indecisione che è venuta la doccia scozzese. L’11 giugno Abete salutava il nuovo governo con un secco: «Nessuna delega in bianco». Lo stesso giorno che un sondaggio fra i membri del parlamentino della Confindustria dava un 76,5 per cento di sì a Berlusconi. A fine luglio Abete lamentava «troppa confusione sulle privatizzazioni e la politica economica». Mentre De Benedetti infittiva gli incontri con Berlusconi. Il 23 settembre l'avvocato Agnelli invitava Berlusconi a cena con i big dell’industria, dando la carica decisiva al presidente del consiglio per varare la sua finanziaria difficile. Esattamente un mese dopo doveva però ammonire: «Basta con i duelli rusticani», riferendosi ai duelli Berlusconi-Bossi e Berlusconi-Scalfaro. E il giorno dopo si ritrovava ottimista e affiatato con il presidente del consiglio all’inaugurazione dello stabilimento di Melfi (era il giorno della «Madonna sul comodino»).
“Ora il gruppone si divide. Con gli antiberlusconiani duri e puri si schiera l’ex capo dei giovani imprenditori, Carlo Fumagalli. La stessa strada sembra prendere il suo successore Riello: «Se la finanziaria non va in porto la colpa è della maggioranza», dice, «di questo clima di rissosità che va oltre ogni aspettativa di equilibrio politico e anche mentale». Ne va di mezzo, secondo Riello, la ripresa: «Siamo ancora in una situazione difficile, la ripresa va in certe aree, e in altre no. Nello stesso Nord-Est alcuni settori non marciano ancora, in particolare quelli legati all'edilizia e alle opere pubbliche».
“La Fiat invece non ha partite aperte con Berlusconi. Prevalgono sulle riserve la protezione della ripresa e la stabilizzazione monetaria, che passa per il risanamento della finanza pubblica. «Sembrano frasi di rito ma non lo sono», spiegano da Torino. L’orientamento della Fiat potrebbe influire su altri grandi imprenditori, come Giampiero Pesenti, patron d’Italcementi e di Gemina, Mario Tronchetti Provera, patron di Pirelli, Pietro Marzotto”.
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