Non si aspettava la soluzione dai giudici contro la Fiom, ma il “contorno” lo ha confermato nella perplessità: l’Italia, e quindi una Fiat italiana, sono fuori dalla realtà e dal mercato. Le decisioni su Termoli e Pomigliano d’Arco sono le solite non-decisioni, Marchionne non si aspettava di più dai giudici italiani, un colpo di qua e uno di là. Ma il mancato isolamento della Fiom, che ora sottoporrà l’azienda a uno stillicidio di ricorsi individuali, nella politica e nei giornali, anche nei “suoi” giornali, l’inesistenza della Confindustria, perduta nell’assicurare un posto di ministro a Marcegaglia, e l’inconsistenza della politica lo hanno confermato che in Italia c’è poco futuro. La stessa prospettiva che incombe sulla componentistica, stando al modello econometrico Prometeia, che ha difficoltà a innovare e fare il prezzo, e da quattro anni riduce l’attività più di quanto la riduce Fiat.
Se ha già fatto un passo fuori, ora è come se ne avesse fatto uno e mezzo: La riflessione sugli investimenti questo significa. L’ad della Fiat più che mai pensa che il solo possibile futuro dell’auto sia fuori dell’Italia, l’italianità del marchio e la leadership che il gruppo mantiene nel mercato italiano considerando vantaggi residui. Da non trascurare ma non decisivi per lo sviluppo. In Italia decide la politica, anche il mercato e l’opinione pubblica, e il manager italo-canadese sa già da un pezzo che la proprietà non ha più alcun peso politico, né mostra di poterselo guadagnare.
Nelle more dell’acquisizione-integrazione con Chrysler, Marchionne tiene ancora coperte le decisioni sul futuro del raggruppamento, dove e come concepire modelli e piattaforme produttive, nonché dove localizzare la produzione. Ma non si aspetta molto dall’Italia.
domenica 17 luglio 2011
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