Giuseppe Leuzzi
Jung contrappone nella sua psicologia archetipica un io “meridionale”, mediterraneo, greco, pagano, a un io “nordico”, selvaggio e eroico. Non è una buona scelta, commenta James Hillman, nell’ “Enciclopedia del Novecento”, vol. V, della Treccani (“Psicologia archetipica”): l’io “ariano, apollineo, germanico, positivistico, volontaristico, razionalistico, cartesiano, protestante, scientistico, personalistico, monoteistico” è solo effetto e causa della “nevrosi nordica”.
La stessa psicologia archetipica, dice Hillman, “si sente invece più a suo agio a sud delle Alpi”.
Gian Antonio Stella fustiga Berlusconi ancora una volta sabato 16 sul “Corriere della sera”, che lo monta in prima e sul sito, per la legge abortita che sospendeva il pagamento a De Benedetti in via provvisionale del mezzo miliardo abbondante cui il giudice De Ruggiero l’ha condannato. E porta a esempio una sua propria condanna analoga, per 15 mila euro, a favore di Mannino, il politico siciliano, che lui invece ha versato senza battere ciglio. E che Mannino, benché Stella abbia poi vinto la causa, non gli restituisce. Morale?
Però, il mangiasud Stella fregato da un siciliano non è male.
Lo stesso giorno il “Corriere” si scusa con poche righe anonime, in fondo alla pagina delle lettere, di tre articolesse con cui il leone Stella ha artigliato tre anni fa l’università di Messina. Una vetrina del giornalismo milanese.
Una citazione per tutte: Gelmini, il ministro dell’Istruzione più eversivo, dopo Gentile e Malfatti, è “paracadutata al ministero di viale Trastevere per investitura monarchica di Silvio Berlusconi…. come una marziana con le antenne e la pelle verde squamata” – il vero ministro è, garantisce il Nostro, Pino Pizza. Unico cenno critico peraltro al Lombardo-Veneto, nelle vesti della ministra, il sarcasmo era tutto per Messina, Salerno, Lecce, Enna etc.
Il vero problema è, però, che il rettore di Messina Tomasello e sua moglie Carmela Grasso si accontentino di quelle poche righe.
I veneti in Sicilia, oggi Zonin e Zamparini tra i più noti, in passato i Cassina, per esempio, e altri all’ombra del cardinale di Palermo Ruffini, tra essi il famoso senatore Verzotto, il power broker, hanno lavorato liberamente e prosperato onorati. Nella logica dell’intervista del generale Dalla Chiesa a Giorgio Bocca nel 1982, “se sono a Palermo ci sono grazia alla mafia”, sarebbero perlomeno collusi, se non mafiosi in senso stretto. Ma Dalla Chiesa non lo disse all’epoca e i carabinieri se ne guardano oggi. Le quattro grandi imprese siciliane invece, Rendo, Costanzo etc., appena presero a vincere appalti a Nord furono subito smembrate per mafia. Sulla fede del casellario giudiziario, magari senza condanna, di un solo operaio, di una ditta di lontani subappaltatori.
Analizzando le “Tre élites coloniali”, dei tre imperi, romano, spagnolo e britannico, l’antichista Ronald Syme esalta con sua stessa sorpresa l’australiano. “L’uomo australiano… esalta la ribellione, l’originalità, il piacere della cultura metropolitana, che non ritiene incompatibile con galeotti e banditi. Come se fossero eroi nazionali”. Si sa che l’Australia fu popolate nel Settecento dall’Inghilterra di galeotti e banditi.
Syme giudica positivamente anche l’atteggiamento del’australiano, “radicale”, di fronte al “vecchiume” dell’Inghilterra.
Milano
Woodcock sollecito manda a Milano anche le virgole delle chiacchiere, all’orecchio assoluto dei colonnelli della Finanza (due e-mail innocenti d’impiegati Mediolanum, l’affitto di Tremonti, etc.) Mentre non manda a Roma le sue inchieste su Roma, un atto palese d’illegalità. Protetta, bisogna dire dal Csm, cioè del presidente Napolitano, la napoletanità c’è e lavora.
Da buon napoletano Woodcock sa chi comanda: è Milano. Nelle vesti del vice Procuratore Francesco Greco, primo napoletano della capitale morale.
Anche la Lega demolita da un napoletano non è male. È quello che sembra, uno scherzo. Ma Woodcock, il procuratore di Napoli, potrebbe avere segnato la storia contemporanea, se la Lega, come sembra, non si risolleverà dall’ennesima furberia, il voto disgiunto in Parlamento, per l’arresto di Papa, incolpato di nulla, e il non arresto di un senatore del Pd contro il quale invece il processo è serio. Una dimostrazione della propria inconsistenza, da parte del partito di Bossi, che i suoi elettori, tutta gente “a premio”, che vota utile, ha immediatamente recepito. Si leggano i giornali locali, il “Corriere della sera”, “Il Fatto”, “Il Giornale”, “Libero”. E' perplessa perfino la “Padania”.
Non è la prima volta che la Lega vuole i ministeri. Già Maroni aveva aperto una succursale dell’Interno, nientemeno, a Milano nel 2003. In precedenza la pretesa era stata avanzata dal sindaco berlusconiano Albertini, al grido: “Se Roma è la capitale, Milano è il capitale”. Di nuovo c’è ora che Napolitano vuole sbolognare il governo. Per una grande coalizione. Senza parere. A piccoli strappi. Si può dire che è Napoli che muove Milano? È un caso di comunione d’interessi.
“Il mio viaggio in Italia” di Walter Benjamin ne dice: “Milano saluta gli stranieri non in italiano, ma in modo transeuropeo”. Più moderno, più civile (c’è anche tra le persone colte, nel Novecento, una diminutio dell’Italia)? No, “con ogni mezzo riporta loro alla coscienza l’idea del sensazionale”.
In questo diario, di un viaggio in gruppo, a vent’anni, per la vacanza della Pentecoste, Walter Benjamin è deludente: non c’è scintilla. Va perfino a visitare il Cimitero maggiore. Dove però, nello spreco di marmi e bronzi lucidi, ha un graffio: “Questo infelice camposanto milanese non è più un monumento al denaro quanto al dio del denaro”.
Viene fuori a pezzetti, la paura di Milano è sempre tanta, la verità che si sapeva sullo scandalo del calcio. Nel 2006 il designatore Bergamo aveva ben spiegato a Borrelli che lui parlava anche con Moratti e Facchetti. Ma l’ex Procuratore Capo napoletano di Milano si guardò bene dall’incriminare l’Inter. Poi si dice che i napoletani sono masochisti.
La giustizia a Milano è politica, si dice. Dai tempi di Borrelli e Di Pietro. No, è corrotta: ha creato e mantiene una vasta area di libero scambio per ogni tipo di malaffare, droga, Borsa, frodi, estorsioni, taglie bancarie, fallimenti pilotati. Al riparo di Berlusconi, delle periodiche condanne di Berlusconi. È infinita e interminabile la rete degli interessi criminali, grandi e piccoli, che si protegge al riparo di queste condanne: Saras, Telecom, Rizzoli Corriere della sera, etc.
I giudici di partito, D’Ambrosio, Colombo, lo stesso ingombrante Spataro, sono (sono stati) compagni di strada, foglie di fico. Il corpo della giustizia, dei procuratori e dei giudici, è corrotto – in maggioranza è napoletano, è vero.
Anche su Berlusconi bisogna intendersi: c’è un angariamento, non una condanna vera – ne basterebbe una sola vera per sempre, piuttosto che una finta al mese. Col metro di Milano, ciò vuol dire anche paradossalmente che Berlusconi non paga abbastanza, o non le persone giuste.
Gatto e Forno i giudici belli di Basiglio
Hanno aggredito tre anni fa due ragazzi, di nove e tredici anni, rinchiudendoli per 69 giorni in casa di correzione, con l’imputazione di atti osceni e incesto: un disegno imputato alla bambina avrebbe mostrato atti di copulazione con un bambino. Li hanno aggrediti per motivi abietti: i due ragazzi
erano figli di famiglia non abbiente, e meridionale, che per questo deturpavano la scuola elementare e media alla quale erano iscritti, quella di Basiglio o Milano 3. Un quartiere che si pretende ricco e affluente della capitale morale. Sono stati assolti, al termine di un processo che solo voleva assolverli. Perché evidentemente parte del quartiere: la direttrice della scuola, due insegnanti, uno psicologo e un’assistente sociale.
Le imputazioni erano non lievi, semplici, e comprovate. Lesioni colpose a carico dello psicologo e dell’assistente sociale che avevano costretto il fratello a confermare che il disegno era della sorellina. Falso a carico della direttrice e di due insegnanti, le quali sapevano che il disegno era di un’altra bambina ma lo tacquero al Procuratore della Repubblica. Il Pm Forno si è opposto alle imputazioni, affermando che erano errori e non colpe. E la giudice ha condotto il procedimento in maniera da dargli ragione. E non per un fatto caratteriale, Forno non è un innocentista – è durissimo con Berlusconi, che per una scopata viene accusato dallo stesso di prossenetismo. Due giustizie, allora? No, è lo stesso Forno, la buona borghesia milanese. All’ombra peraltro del cattivissimo Procuratore Capo Bruti Liberati, che, a giudicare dal nome, di Milano è la parte nobile..
Questo sito aveva registrato la prima tappa dello scandalo il 25 maggio 2008,
http://www.antiit.com/2008/05/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-18.html
concludendo: “Solo è stata preparata con cura la festa dei compagni per il ritorno - la solita scena televisiva dei bambini civilmente impegnati. Magari dallo stesso sindaco e dal direttore didattico, la Rai non è così cinica”. Non è stato così, la “festa” è sempre a carico dei due fratellini, e dei loro genitori, che intanto hanno imparato che dovevano sloggiare. Né i fratelli né i genitori hanno mai ricevuto le scuse di nessuno, psicologo, assistente sociale, insegnanti, direttrice, sindaco. E il processo a queste persone, per imputazioni accertate, è stato invece a loro carico: il Pm Pietro Forno e la giudice Anna Maria Gatto sono stati “durissimi”, a detta del loro avvocato, prudente: “Sembrava che la famiglia e i bimbi fossero gli imputati e noi gli orchi cattivi”. I giornali giustizialisti non hanno nemmeno dato notizia della scandalosa assoluzione, il “Corriere della sera”, “Il Fatto Quotidiano”, “Repubblica”. Il sindaco di Milano 3, dopo la sentenza, ha accusato i due fratellini di “complotto”, sic, a danno suo e del comune.
leuzzi@antiit.eu
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