Giuseppe Leuzzi
L’onorevole Milanese, nato a Milano, collaboratore del ministro Tremonti, pavese, diventa irpino il giorno in cui se ne ordina l’arresto.
La Procura di Palermo, dopo avere indagato per anni il neo ministro Romano, recede. Allora il giudice chiede di processarlo lui. Sulle stesse carte della Procura di Palermo.
C’è sempre un giudice a Palermo, per il terzo livello. Ce ne saranno anche per la mafia, prima o poi, è inevitabile, la mafia ne ha bisogno.
L’odio-di-sé meridionale
Gli stessi che fanno la Milano-Genova impavidi, o la Milano-Laghi, o la Firenze-Mare, in coda per ore e rischio tamponamento costante, friggono appena mettono il piede sotto Salerno. La Salerno-Reggio Calabria è un inferno, eccetera. Senza confronto, è un’entità a sé. È il Sud. È il ritorno che sempre si finge nostalgico (ma si può dire: ah, le buone strade di una volta?) e invece è odiato, odioso.
Il Sud è pieno di emigrati che ritornano e lo trovano sudicio, disordinato, corrotto, eccetera. Si dà per scontato, e in qualche caso lo è. Ma sono gli stessi che affrontano la corruzione ogni giorno a Milano, impavidi. Vanno a mare a Santa Margherita ligure e pensano di starci benissimo, al confronto di Letojanni, o della Tonnara di Palmi. Che hanno sacrificato, magari per trenta o quarant’anni ormai, il fegato e la giornata, ogni giorno feriale e di più i week-end, su e già per le dorsali appenniniche, Milano-Genova, Firenze-Bologna, ma sono a disagio, sono in un inferno, sulla Salerno-Reggio Calabria, dove i 350 giorni restanti dell’anno, prima e dopo Ferragosto, viaggiano indisturbati.
Un professore che non citiamo, perché è suscettibile, abita a Cetraro, sul Tirreno, e insegna a Catanzaro, sulle pendici joniche. Il pendolarismo lo soffoca e ne fa materia di un indignato libro, contro la mafia, l’ecomafia, il sottogoverno, la corruzione, i Borbone e gli spagnoli, che sono colpevoli a doppio taglio: hanno creato con le strade un traffico spaventoso, che gli toglie il respiro e buca l’ozono, ma non le hanno fatte dritte e a doppia corsia, seguono l’orografia, che in Calabria è come tutto tortuosa. Il libro viene per questo pubblicato e pubblicizzato, nell’Italia leghista parlare male del Sud è uno dei banchi buoni della libreria. Ma un pendolare delle Ferrovie dello Stato da Rieti e Roma, o anche solo da Campagnano Romano a Roma, la tratta meglio servita, gli invidierebbe la fermata al solito bar, invece dell’attesa del treno che non arriva, e le altre cose che il professore non vede, la luce, il largo orizzonte marino, le solitudini, le fioriture, e pure la possibilità, quando vuole, di parcheggiare. Ma, certo, il pendolarismo è duro per tutti – è una delle cifre della modernità, lo spreco inutile di tempo e fatica.
(Il professore in questione ha pure ragione, anche se non lo sa è fortunato: più a Sud gli sarebbe toccata la Bagnara-Bovalino, un migliaio di curve tornanti su 61 km, ammesso che fosse percorribile - non lo è dal 1951. Una strada, anche questo è vero, che divide e non unisce: per quasi un secolo, fino alla superstrada Rosarno-Gioiosa negli anni 1980, Jonio e Tirreno sono stati nella provincia di Reggio Calabria profondamente estranei).
Non c’è sintonia, dopo i primi abbracci, tra chi è emigrato e chi è restato. Questo solitamente offende chi è emigrato, che ha coscienza di essere di più: avere osato, avere faticato, e comunque avere realizzato di più, avere più esperienza di mondo, più capacità di fare. Ma è questo di più che lo rende inutile, prima che insopportabile: presume una condanna dell’esistente che all’esistente – chi è rimasto, il Sud com’è – non è di nessuna utilità E non può naturalmente accettare.
Calabria
Vittorio Pisani, il capo della Squadra Mobile, non è il primo calabrese a essere fottuto a Napoli, e non sarà l’ultimo – non c’è gara possibile: Napoli ha sempre fottuto la Calabria.
Ma è la terza volta che i giudici di Napoli lo incriminano: che ci sta a fare lì?
Il barone Franz von der Trenck, al quale si deve l’invenzione delle bande militari (in realtà l’adattamento in Europa delle bande ottomane), e quindi delle bande musicali, nonché una serie di degradanti avventure militari, era nato a Reggio Calabria, nel 1711. Mezzo austriaco per parte di padre, un ufficiale in servizio a Reggio, e mezzo croato per le proprietà estese in Slavonia. È noto anche in Croazia, come barun Franjo Trenk. Ma non è noto a Reggio. Né lui si riferisce mai a Reggio, nelle sue tante esternazioni.
Nacque a Reggio un giorno particolare, l’1 gennaio, e tra Reggio e la Sicilia passò la fanciullezza, sempre in mezzo ad avventure singolari. A sei mesi cadde nel camino ustionandosi. A quattro anni giocava con la pistola del padre, un colpo partì e il proiettile lo ferì di rimbalzo alla coscia. Rischiò anche di annegare, nuotando nello Stretto. Accompagnava spesso il padre, nei suoi viaggi a Messina, Palermo, Napoli, e poi più tardi a Venezia, in Carinzia, Stiria, Tirolo, Croazia, Slavonia, Banato. Morì a nemmeno quarant’anni, nel 1749, dopo una vita piena di avventure. I suoi resti mummificati si visitano nella cripta del convento dei Cappuccini a Brno, nella repubblica Ceca.
Fece le scuole dai gesuiti a Oldenburg. Parlava sette lingue. E intese vivere da proprietario nei suoi possedimenti croati. Finché nel 1737, a ventisei anni, morta la moglie nella peste nera di quell’anno, ebbe l’idea di creare un reggimento di panduri, una sorta di corazzieri croati e serbi, in sgargianti divise, per la guerra contro i turchi. Ma a Vienna gli dissero di no. Allora si mise al servizio dello zar. Che dopo un breve servizio dovette condannarlo a morte, per “cattiva condotta, brutalità e disobbedienza” – la condanna fu poi commutata al carcere. Finché i russi non se ne liberarono rimandandolo in Austria. Dove per un periodo visse isolato. Poi fu amnistiato, nella guerra di successione austriaca, e messo a capo di un corpo di irregolari, fino a ottenere il grado di colonnello. Costituì allora il suo reggimento di panduri, che subito si segnalarono per la truculenza, e per il disordine in battaglia. Il barone fu condannato a morte anche in Austria, e quindi al carcere, nello Spielberg a Brno, dove nel 1749 morì. Avrebbe tutto per essere degradato a calabrese.
“Il re fuggito in Sicilia, i francesi giunti a Capua, i giacobini che levavano il capo, il vicario generale smarrito… Il ventiquattrenne Giuseppe Poerio fu visto inaspettatamente emergere dall’ombra e togliere su di sé ed eseguire una difficile parte politica, che ebbe, in quel groviglio di casi impensati e d’impulsi diversi ed opposti, efficacia risolutiva” (B. Croce, “Una famiglia di patrioti”, p. 18). L’“Otto settembre” del Regno di Napoli, all’Epifania del 1799, fu un calabrese di ventiquattro anni a instaurare la Repubblica a Napoli.
La Madonna del Porto è una festa e un rito fra i più studiati dell’etnologia. Erasmo ironizzava sui titoli marini della Madonna, “stella del mare”, o “porto di salvezza”, dato che Maria non ha nulla a che fare col mare. Ma Lutero sapeva perché: “Maria significa stilla maris, poiché di tutto il mare dell’umanità è l’unica goccia che rimase pura e intatta”.
L’umorismo è invasivo anche nella letteratura russa, nota Nina Berberova di Nabokov (nel saggio “Nabokov e la sua Lolita”). L’orrore, il distanziamento, si mescola sempre al ghigno: compiacimento, pena, e compiacimento per la pena.
Non ha nobiltà antica, non ha avuto il feudo. Malgrado il secolo di regno diretto normanno. I titoli sono di romani del papa, Savelli, Carafa, di banchieri genovesi recenziori, del Cinque-Seicento, Spinelli, Grimaldi, Genoese, Grillo, un Lombardo a Polistena. I Ruffo venivano dal nulla, il loro capostipite Pietro fu creato conte da Federico II, come Giovanni Moro e i discendenti di Mafalda Scaletta, perché uomo di mano. Per lo stesso motivo finì male: passato con i guelfi contro Manfredi, fu privato dei beni e messo a morte. Pietro II si mise con gli angioini, e riebbe la contea di Catanzaro per aver sottratto Amantea a Corradino. Dopodiché non se ne sa più nulla finché la famiglia non riemerse a Sinopoli a metà Trecento, di nuovo col titolo di conti, trasformato due secoli più tardi in principi di Scilla. Illustrandosi come uomini d’arme e prelati, senza alcuna opera d’arte o dell’ingegno. Fu l’uno e l’altro il cardinale Ruffo, l’esponente più famoso, che creò il movimento dei sanfedisti, con i quali abbatté la Repubblica Napoletana.
In questo caso è stata la Calabria a suonarle a Napoli, ma è l’unico.
leuzzi@antiit.eu
la leggo. lei è divertente: anche stavolta non ne ha azzeccata una. ma una. inventa, argomenti zero. e non si dia arie: lei così non urta alcuna suscettibilità (mai coperto, come si dice), è solo che continua a scrivere minchiate enciclopediche, con stile pontificio.
RispondiEliminanoto poi con dispiacere che nonstante i suoi dotti sproloqui sono l'unico a "postarla".
le auguro migliori fortune.
m f m