Il crollo odierno dei titoli pubblici e della Borsa, dopo quelli della settimana scorsa, senza corrispettivo nei mercati europei e americano, ha a questo punto una ragione precisa: il decreto sula finanza pubblica, che raddoppia la tassazione dei titoli. Con questa semplice misura il Tesoro, per fare teoricamente cassa, si obbliga a pagare interessi sempre più alti, subito e di fatto – lo spread sul Bund tedesco è cresciuto di 1,20 punti nei pochi giorni di vigenza del decreto. Un’autocastrazione: il debito italiano aumenterà di 2-3 punti di pil perché Tremonti, avendo aumentato la tassazione sui suoi bot dal 12,5 al 20 per cento, dovrà pagare il 2-3 per cento in più di interessi. E cioè cinque miliardi neidodici mesi.
Il fenomeno non è circoscrivibile, e anzi destinato ad accrescersi man mano che, dopo i grandi investitori, i piccoli risparmiatori prenderanno coscienza della tassazione sul risparmio che il decreto introduce. Si tratta di circa undici milioni di cassettisti. Ai qual il decreto impone, oltre che la cedolare del 20 per cento invece che del 12,5 sui dividendi e gli interessi dei bot, anche un superbollo di 120 euro l’anno. Per i più significa, in aggiunta ai costi bancari di tenuta dei conti, l’obbligo di liquidare gli investimenti (anche perché il decreto premia i despoti in conto corrente). Tanto prima tanto meglio, poiché è in avvitamento verso l’abisso.
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