A Napoli, dove fa compagnia alla mamma avventurosa, prima di partire, il giovane marchese de Custine si aspetta di trovare in Calabria il “mondo delle favole”, un paese dove “per vedere è necessaria l’immaginazione”. E in questa trance ne scriverà. Ma non senza aver visto – Carlo Carlino, severo presentatore della vecchia edizione del 1983, sembra pensare il contrario, eppure a ogni riscontro molto è veritiero. C’è una sola invenzione, se non una stendhaliana, distratta, scopiazzatura: vedere l’Etna da ogni dove, per esempio da Paola. E un solo errore, la Cattolica di Stilo detta “saracena” – ma l’errore è veritiero: sancisce l’abbandono della chiesetta dopo due secoli di latinizzazione, ortodosso stava per scristianizzato, a lungo i bizantini non sono esistiti in Italia, non solo per il giovane viaggiatore.
Custine entra in Calabria sdegnato delle grossolanità che sulla Calabria si rovesciano, dopo la sconfitta contro Napoleone, insieme con la coscrizione obbligatoria per le guerre di Germania e di Russia – ma non fu sconfitta, la regione non fu mai domata, il generale Manhès continua a tagliare teste e rubare il rubabile: “Un popolo al quale non si è grati abbastanza per non sentirsi umiliato più di quanto non lo sia!” Il marchesino che sa essere antinapoleonico, a Napoli, nel 1812, ha titolo di merito. È quindi superfluo dirlo vandeano, come fanno i due presentatori, Carlino e l’ottimo curatore della collana “Viaggio in Calabria”, Valerio Cappelli, che riedita queste “Lettere”. Dopotutto, Astolphe aveva avuto il padre e il nonno, rivoluzionari benché moderati, assassinati da Robespierre, e quanto alle liberazioni napoleoniche, questa è una storia che solo in Calabria non si è rifatta – patria degli studi subalterni, nel senso della subalternità propria degli studi, non della società che ne è l’oggetto.
La Calabria in realtà non fu mai domata, il generale Manhès continuava nel 1812 a tagliare teste e rubare il rubabile, e anzi se ne vanterà, dopo che Custine l’ha denunciato. La repressione sarà costante, ed è all’origine del brigante, epiteto che i napoleonidi impressero indelebile sulla Calabria: Manhès, rileva Custine indignato, parla di “ottomila briganti”, ma “i soldati non sono banditi”. L’insolenza francese era senza limiti, che Duret de Tavel, memorialista che era stato ufficiale di Manhès, qui ricordato da Cappelli, bene esprime: “I Calabresi sono dunque, realmente, degli assassini”.
Un detto Custine cita: “Le vecchie, in Francia, quando vogliono indicare un uomo spacciato, dicono: il tourne la Calabre”. Che altrove, dove gli studi non fossero subalterni, avrebbe magnificato la forza della resistenza – tanto più se si riferisce alle vecchie occupazioni francesi, normanna e angioina. Custine non è il solo francese critico della liberazione della Calabria, tutti gli altri memorialisti dell’epoca lo sono: Courier, ufficiale napoleonico come Duret deTavel, e lo stesso Duret de Tavel. La sua specialità è vedere senza compiacenze, senza partito preso. Senza tacere la forza dell’odio, specie “nel cuore delle donne”, che conducono alle faide. E negli aneddoti famosi, del prete castrato dai cappuccini che aveva deriso. Delle sorelle di Daffinà felici infine quando ebbero in casa la testa dell’assassino del fratello, per farne un trofeo. La sporcizia, anche dei ricchi. La futura statale 19 per Napoli che è già mortale, a causa della malaria. Ma più sa vedere le qualità nascoste delle persone, e da giovane romantico la forza e la bellezza della natura. Con il celebre elogio che ha consacrato Tropea e quelli che avrebbero potuto consacrare Parghelia e, soprattutto, Palmi – i cui incanti, malgrado tutto, s’impongono anche al viaggiatore contemporaneo, sono Omero puro. Da Palmi a Bagnara e Scilla il giovane va in estasi: “Sento che sto per impazzire: non dormo più, non mangio più, non sento più. Io contemplo e vado in estasi. Il signor Catel è come me”. Franz Ludwig Catel è l’illustratore e paesaggista tedesco con cui Custine si accompagnava, insieme con l’archeologo francese Aubin Millin, uomo d’esperienza (morirà poco dopo, nel 1818).
Sono lettere svelte e incisive. Custine ha fama di persona vanesia e scrittore superficiale. Ma dovunque è stato ha visto giusto. Per finire, ha visto meglio di ogni altro la Russia negli anni 1830. Nota e registra, a 22 anni, in una incerta “pacificazone”, in un viaggio mordi e fuggi (tutta la Calabria in 45 giorni) quanto i residenti in più generazioni e pure gli specialisti non hanno saputo notare: dalla sapiente architettura arborea a quinconce al peso schiacciante della tradizione in popolazioni abbandonate a se stesse, e naturalmente, in una terra in cui è dominante, i miracoli della natura, l’aloe, il mirto, l’olivo, i colori del mare, le geometrie del sole al tramonto, della luna sorgente.
È un caso rimasto unico di indipendenza di giudizio, per una terra che si potrebbe dire esemplare della subalternità, dell’acquiescenza alle forze e le idee dominanti – fino al leghismo…
È il primo che cerca i normanni, a Mileto e altrove – senza trovarli, ma sa anche il perché : il terremoto ha distrutto tutto, la tomba del re (in realtà il conte) Ruggero giace di traverso in una forra. E un’inattesa genealogia sa estrarre dal poco che vede, i “taciturni calabresi” assomigliando ai normanni: “Come loro sono chiusi, cavillosi, attaccabrighe, e godono della collera altrui”. Non esemplare: “Questo rapporto tra la Magna Grecia e la Bassa Normandia, che forse risale al tempo di re Ruggero, è più sorprendente che piacevole”.
Adolphe de Custine, Lettere dalla Calabria. 1812, Rubbettino, pp. 163 € 7,90
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento