Tanti complotti ma, miseramente, individuali: le moltissime inchieste, annunciate, effettuate, in via di giudizio, a carico dei berlusconiani, con profusione anche di mezzi investigativi, sono per arricchimento o corruzione personale. Col fumus persecutionis, per quanto inconfessabile, il dubbio della giustizia politica. Nessuna inchiesta che individui o ipotizzi una corruzione sistemica del berlusconismo, politica cioè, di partito. Che è invece quella che si è esercitata e si esercita nella cintura milanese, da Monza a Sesto San Giovanni, “bianca” e “rossa”, e purtroppo sempre “democratica”. Un fatto notorio, anche se la vicenda di Penati non dovesse concludersi con una condanna, o comunque con un giudizio, quello negato dalla giudice Mangelli. C’è una giustizia che si fa e una giustizia che si sa, così vanno le cose.
Non è il solo paradosso. Un altro è che Penati visibilmente fatica a capacitarsi che il suo comportamento sia da scandalo, tanto assoluta è l’impunità verso la corruzione sistemica. Finora il Pci-Pds-Ds, che la pratica ovunque dove governa, a Firenze e Bologna come in Umbria, non è mai stato indagato anche se la cosa è di dominio pubblico. O è stato indagato quando amnistie o prescrizioni l’avrebbero protetto - già nel 1992 ne andò indenne, con apposita leggina di pochi mesi prima.
La vicenda Penati tocca anche la corruzione sistemica di Milano, il cuore degli interessi del sistema che ci governa, le grandi banche e i grandi affari, spesso immobiliari, con una prevalenza qui della curia sugli immobiliaristi. E questo non è un paradosso, è una triste verità. Che la Procura di Milano, la più imponente, dotata e, perché no, qualificata d’Italia, eviti di perseguirla.Ben due procuratori di Milano esperti di reati economici, Alfredo Robledo e Stefano Civardi, non hanno trovato nulla sulla Milano-Serravalle. Ma non cercavano nulla: da esperti avevano derubricato il reato a abuso in atti d’ufficio.
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