Tre lettere della vasta “corrispondenza” di viaggio di un giurisperito trentino del secondo Settecento, buon suddito dell’Austria e buon fedele della chiesa, ma appassionato antiassolutista e anticlericale. La prima sorpresa è dunque il personaggio, autore anche di notevoli opere di diritto, in tedesco e in italiano. La lettera introduttiva è su Napoli, di cui Pilati rimarca la tolleranza religiosa e insieme la bigotteria – dalla tolleranza sono esclusi gli ebrei, ma Napoli “può tranquillamente fane a meno, giacché in questa città ci sono molti lombardi”. Le altre due sono sulla Calabria.
La Calabria Pilati vuol farci credere di avere girato per tutti i suoi anfratti in pochi giorni: le due lettere non hanno valore testimoniale. Ma il giudizio è sicuro. Nota l’estrema miseria. Attraversando “orribili montagne” e pernottando “nelle capanne di contadini ancora più orribili” – non è il protoromantico in cerca di emozioni. Rileva anche l’abbandono di molte industrie e la trascuratezza di molte coltivazioni. Tra esse registra il “vino calabrese” di Avola, il vitigno esportato dalla Calabria a Siracusa precursore del Nero d’Avola. Il vino di Fossa, nei pressi di Reggio, dice pari al “migliore Borgogna” – Fossa che oggi non si nemmeno dov’è. E prima, dice, era peggio: “Prima che i genovesi avessero iniziato a frequentare i villaggi lontani (commerciando), il paese era ancora meno popolato e gli abitanti più poveri, csa che ha spinto i baroni calabresi a far venire degli albanesi nelle loro terre”. La Calabria mancando di porti, il poo comercio si faceva con le pinche, piccole imbarcazioni, genovesi – “Laigueglia manda su questa costa più di venti piche l’anno”. Ma, benché creda ai banditi (“è ridicolo volersi burlare, come pretendono certi viaggiatori, dei banditi del Regno di Napoli”, contro cui Napoli metteva in guardia ognuno che volesse avventurarsi nella regione), se ne dimentica nelle sue presunte peregrinazioni in posti remoti e isolati.
Una silloge messa insieme da Giuseppe F. Macrì, che la correda d’interessantissime note. Macrì spiega nell’introduzione l’eccezionalità del viaggio in Calabria all’epoca, molto sconsigliato a Napoli. Reintroducendo nella polemica meridionalistica la devastazione di Napoli, prima che l’incuria e lo sfruttamento, verso i suoi territori e le sue popolazioni. Pilati gli dà ragione, venendo a parlare delle coltivazioni: “Gli abili finanzieri napoletani hano avuto modo d frenare su questo punto, come pure su molti altri, l’industriosità degli abitanti”. E più in generale del modo di porsi di Napoli nei confronti del suo “entroterra”.Il disgusto per Napoli porta peraltro lo stesso Pilati a negare che nella città si possano gustare i frutti delicati di cui sbavano i viaggiatori. Tutti vittime del sentito dire.
Carlantonio Pilati, Per antichi sentieri, Rubbettino, pp. 121 €7,90
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento