C’è un rischio insolvenza, anche solo marginale, temporanea, eventuale, del debito Usa? Non c’è. C’è una qualche forma di rischio insolvenza del debito Francia? Non c’è. Allora di che parliamo, di che parlano le agenzie di rating? Trasformano criteri di valutazione contabile ordinari, sui gradi di opportunità di un investimento, in fatti epocali. Il giudizio tecnico, adattabile, transeunte, trasformando in sovversione violenta. Per inavvertenza? No, in collegamento con le potenti forze (fondi, hedge funds, banche d’investimento) che hanno monopolizzato il mercato, a partire dall’opinione pubblica, e lo sfruttano a loro interesse. Anche a costo di sovvertire l’economia mondiale, e quindi d’inaridire le fonti dell’arricchimento.
Il discorso è lo stesso in termini reali, di economia delle cose (produzione, lavoro). C’è una recessione, in atto o minacciata, negli Usa, in Europa o altrove nel mondo, tale da imporre di tenersi liquidi, anche a costo di disinvestire? Non c’è. C’è allora follia nel disinvestimento? No, c’e saggezza in quella follia: viene dallo strapotere dei mezzi finanziari, che puntano al guadagno immediato, anche perché non corrono la gara reale.
Non è la fine del mercato, non prima che ci abbia distrutti , che abbia distrutto l’“Occidente”, quello che ne rimane, ma è già la fine del “mercato”. Dell’ideologia del mercato, che il più forte fa più saggio e più buono, e sempre nel suo buon diritto. Ma è inevitabile che anche il mercato in senso nobile stia attuando una forma di suicidio. Le regole che non sono state imposte dopo la crisi del 2008 dovranno essere imposte ora. A condizione naturalmente che ci sia ancora un Occidente, che gli assetti della globalizzazione restino immutati anche dopo questa crisi.
Scorrendo la stampa internazionale, anche quella più prona agli affari, si avverte il fastidio: è stato passato il limite. Si può dire che solo in Italia l’ideologia del mercato sia ancora imperante tra i giornali e gli economisti - per incapacità, per corruzione?
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