Remo Gaspari, senza nessuna bellezza (oggi non l’avrebbero fatto nemmeno onorevole), e alla fine senza neanche gloria, ha ammodernato gli Abruzzi e li ha arricchito. Erano più poveri della Calabria alla fine della guerra, hanno un reddito medio più elevato di quello nazionale ed europeo, già da un ventennio. Tutto a opera di un uomo politico. Discusso per questo e anzi svilito, come si conviene in un paese senza onore, ma senza che potessero mai condannarlo. Gaspari è, nel suo piccolo, la celebrazione della forza della politica. Altrove riconosciuta e celebrata, in Italia vilipesa – con le poche, scontate, eccezioni: Cavour, Mussolini, De Gasperi.
Di questa forza Gaspari rappresenta quella più oscura: locale, quotidiana, minuta. Ma costante e determinata. Tanto più in un paese di intellettuali quale è l’Italia, che volentieri la riducono a sottogoverno se non a corruzione. Questa che è l’unica forza dell’Italia meridionale, almeno nella fase repubblicana - non molto onorevole - della storia d’Italia. Gli unici casi di sviluppo che si registrino sono legati a personalità politiche forti. La città e l’area di Cosenza, dove sembra di aggirarsi per una Toscana trapiantata, a Giacomo Mancini. Lecce, Gallipoli e il Salento tutto, che ancora trent’anni fa erano terra d’emigrazione e ora sono un gioiello, a Massimo D’Alema. Bari, a suo tempo, a Aldo Moro.
Ciò è vero anche all’inverso: il ritardo meridionale è oggi dovuto all’insufficienza, l’incapacità, la stupidità della classe politica. Più che alla mafia, Più naturalmente che ai Borboni
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