Filippo Penati e gli altri indagati del partito Democratico sapevano dell’inchiesta a loro carico. Fra tutti i punti critici emersi nelle indagini sull’area ex Falck a Milano-Monza, questo è il più sinistro: conferma che c’è una Spectre, che controlla e forse anche regola l’informazione e la giustizia. Qualcosa di temibile perché, pur mostrandosi sempre più spesso ultimamente, non se ne parla. Gli stessi giudici di Monza che conducono le indagini non mostrano di scandalizzarsi – per non dover indagare?
Gli altri fatti non sono meno gravi. Che la procura di Milano non abbia indagato. Che la gip di Monza Anna Magelli abbia “assolto” Penati nel mentre che lo deve dire colpevole, evitandogli il carcere in modo che possa continuare a “inquinare le prove”. Che non si indaghi sulle tangenti stratosferiche della Milano-Serravalle. Nonché sul business immobiliare vescovile dell’asse Milano-Monza. Che non si indaghi in genere sulla corruzione che è il mercato di Milano. Che la Banca Intesa del curiale Giovanni Bazoli tenga il sacco della corruzione. Tutto questo si può dare per noto, anche se non scontato: si sa che gli affari a Milano e la giustizia sono infetti, e più quelli che brandiscono la “questione morale”.
La novità è la conferma dell’impunità di questo sistema. La giudice Magelli è stata subito “scaricata” perché la sua impudenza è sembrata eccessiva. Ma anche questo conferma che c’è un sistema di controllo, nelle dirigenze dei giornali e delle procure della Repubblica, che agisce coordinato e impunito.
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