domenica 7 agosto 2011

Letture - 70

letterautore

Borges - È aneddoto crociano, tratto dalla “dimostrazione” della traduzione impossibile, la storia del Ménard, della traduzione impossibile del “Don Chisciotte”, anche riproducendolo tal quale.

Dante – Montale, “Sulla poesia”, dice la “Divina Commedia” “l’ultimo miracolo della poesia mondiale”. Lui che è sempre misurato. Ma è il modo come la legge Dionisotti, agli inizi della sua “Geografia”, dopo avere constatato “la preminenza veneta sulla letteratura toscana del ‘500”: tardi il toscano diventa la lingua, malgrado una “colonizzazione toscana attivissima nella vita economica e civile”. E malgrado la “subitanea, vastissima, diffusione” della “Commedia”.
Ma il poema non è a sé stante, fuori dal disegno unitario della lingua e della storia: la “Commedia” è il poema dell’Italia - non è comune, non ci sono altri casi.
Dionisotti tratterà a lungo il “problema” Dante. Ma dopo averne liquidato la “cantilena” – p. 36: la “cantilena” della “Divina commedia”…

Manzoni – Dionisotti lo vuole tutto lombardo quando è creativo (dove? nelle storie?), toscano è quello che si mette in vacanza.

Pound – È possibile che quest’uomo abbia cambiato la poesia e la scrittura? L’ha fatto. E quando la guerra era perduta si sia messo a sbraitare contro l’America e gli ebrei? L’ha fatto. Un manicomio. È lì che ha passato gli ultimi anni, in un manicomio vero. Non si dice per pietà, ma più che nel castello della figlia Mary era in manicomio a Merano. Ljuba Blumenthal ricorda a Daniele Del Giudice, “Lo stadio di Wimbledon”, 100-101, che con Bobi Blazen andavano spesso al castello di Mary de Rachewiltz ma Pound non c’era mai: “Più che al castello stava al manicomio giù a Merano. Riceveva solo una nipotina che andava a leggergli «Pinocchio»”.
Del suo dramma si può forse fare una lettura anche semplice. Finché visse in una società di uomini, Ford Madox Ford, Wyndham.Lewis, T.S.Eliot, Joyce, Hemingway, Cummings, fu energico, profondo, geniale, imperativo, realizzatore. Incontestabile. Poi si adagiò fra le donne, e infine sbarellò. Senza rapporto di causa ed effetto? Giusto per il compiacimento di sé, di lasciarsi andare.

È assente nella sistemazione di Ann Charters, “The Penguin book of the Beats”. Nel 1960 il curatore dell’antologia “The New American Poetry”, Donald Allen, lo menziona fra i maestri, ma di passaggio. Kerouac, all’inizio dei “Sotterranei”, dice a più riprese: “Sanno tutto di Pound”. E altre volte lo menziona, ma di sfuggita. I beat, di preferenza, si rifanno a W.C.Williams – e a Céline!.

Borges gli attribuisce, come a Mallarmé e Joyce, la voglia di “simulare il disordine, costruire faticosamente un caso” (ora in “Testi prigionieri”, 163) – “una delle civetterie letterarie del nostro tempo consiste nella metodica e ansiosa elaborazione di opere dall’apparenza caotica… La quinta parte dei “Cantos” di Pound, appena uscita a Londra, continua questa curiosa tradizione”. E pensare che Pound si voleva, è, il Miglior Fabbro: voleva estrarre qualcosa dalla crisi.

Pneuma, una parola e un concetto che lo seducevano, Foucault, “La cura di sé”, 113, riporta a Galeno in questi termini: “Pneuma ricorre in Galeno: si forma nel labirinto del cervello, inturgidisce gli organi sessuali, e si disperde nello sperma con l’eiaculazione”.

Di fascismo e bolscevismo coglieva l’identità in quanto sistemi di appropriazione della vita totalitaria, come si volevano. Anche il capitalismo e il socialismo vedeva come appropriazione, delle coscienze. Resta incomprensibile il parallelo Jefferson\Mussolini.
Pound identifica un sistema di vita europeo, italiano, ligure, con Mussolini. Non a torto, Mussolini è pur sempre l’arcitaliano. Ma lui, con le sue metafore dell’acciaio e le baionette, si capisce che non abbia apprezzato, quando il poeta volle incontrarlo: l’avrà creduto un pazzo.

Traduzione – Giorno e notte non sono la stessa cosa in italiano e in francese. Giorno è marciante: è risveglio, voglia, lavoro, soddisfazione del lavoro compiuto, notte è sonnolenta. Jour è invece notturno, nota Mallarmé nelle “Divagations”, nuit è argentina, cristallina. E allora?
La stessa difficoltà dovrà proporre il tedesco, che inverte il genere delle cose: il sole è femminile, il peccato pure, e si raffigura con una dama, la morte è maschile e la luna. E allora? Bisognerebbe invertire simboli, metafore, metonimie? O costruire per ogni parola sinonimi dello stesso genere o di suono analogo? Assurdo: se dicessi luce per sole direi un’altra cosa, devo tradurre il sole con die Sonne, e viceversa. La parola tedesca avrà significati diversi dall’italiano. Ma identica è la cosa che denota: e questa è la relazione che all’autore-codificatore interessa, quella fra la parola e la cosa, quale che sia il circuito relazionale (immaginativo) che essa anima. Il sole italiano è d’altra parte diverso per un abitante di Piacenza nella pianura Padana e uno di Reggio Calabria sul mare. E in Calabria non hanno lo stesso sole un abitante della Sila, altopiano, e quello di Reggio. Né è il sole identico per un abitante di Capo d’Orlando, che in Sicilia guarda il Nord, e uno di Agrigento. Oppure, in Calabria, fra uno di Bagnara, che guarda il Tirreno, mare “occidentale”, e uno di Locri, che guarda lo Jonio, quindi a Oriente.

Il romanticismo è cominciato in Italia con una traduzione. Dell’articolo di madame de Staël “Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni”, che comparve nel 1816, alla Restaurazione, e Pietro Giordani tradusse su “La biblioteca italiana”. Contro i modelli classici e per un collegamento con la poesia inglese e tedesca: una rivoluzione letteraria che accese molte polemiche..

La prova di resistenza (del “valore”) di un’opera è nella traduzione. Se “resiste”alla traduzione, per esempio “Don Chisciotte”, anche alla più affrettata, è riuscita. È la tesi di Borges, “La susperstición
etica del lector”, in “Discusión”.

I greci non traducevano. L’Egitto, la Mesopotamia, la Siria ricopiavano. Citavano, quindi riconoscevano una sorta di proprietà intellettuale, ma nazionale (etnica, culturale, religiosa). Entrambe, citazioni e traduzione, sono obbligatorie da un secolo e mezzo, o da quando c’è la legge internazionale sul diritto d’autore. Ciò non toglie che la traduzione conservi il significato originario di omaggio all’autore – di concelebrazione.

L’attività più faticosa, viaggiando, è tradurre. Se si è insieme a una persona digiuna della lingua locale, si è assillati da richieste continue di “che significa?”, “cosa vuole dire?”, “cosa c’è scritto”, “come si dice?” Una fatica non per l’assillo ma per il fatto stesso di dover tradurre, esercizio mentale faticosissimo, che non di rado porta alle forme ultime della stanchezza, l’afasia, la perdita della aprola. È con sicura autorità, certe di futura riconoscenza, che le frau Schumacher, Stephane e altre del Goethe Institut imponevano di non tradurre negli esercizi scolastici di tedesco: leggevano negli occhi lo smarrimento provocato dallo sforzo di traduzione e intervenivano taglienti a colpo sicuro: “Niente traduzioni!”, bisognava capire nello loro strana lingua.

Dionisotti ha ( p.178) un “Das Ubersetz its der Tod des Verständnis”, la traduzione è la morte della comprensione, di Moritz Haupt, filologo tedesco dell’Ottocento.
Dell’impossibilità della traduzione Croce ha fatto il teorema. Salvo, osserva Contini perfido, trasgredirlo lui stesso con le traduzioni da Goethe e da Basile – di cui ha impoverito la lingua.
Anche Quine argomenta l’impossibilità del tradurre.
M. Yourcenar invece, essa stessa grande traduttrice dal greco, ha una curiosa teoria (nella biografia di J..Savigneau, 273-5): “Anche la poesia è una traduzione”.

Traduttore traditore, tradurre, tradire, etc. – dalla regina Elisabetta in poi, quella degli elisabettiani, non si fa che dirlo, in italiano. Ma Shakespeare si gode molto meglio in traduzione, sia pure soltanto scenica, in lingua originale – non è del tutto vero, ma è vero.

Lévi-Strauss è tassativo, “Primitivi e civilizzati”, 173: “Il linguaggio dev’essere traducibile, altrimenti non è un linguaggio. Non sarebbe un sistema di segni che equivale a un altro sistema di segni per mezzo di una trasformazione”.

Céline (in Hindous, “Céline”, 147) ricorda le tante traduzioni di poesia tedesca in francese durante l’Occupazione: segno che si può tradurre?

letterautore@antiit.eu

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