sabato 27 agosto 2011

Quattro giornalisti, tre verità

I quattro giornalisti che si erano avventurati a Tripoli nell’incerto fronte urbano tra gheddafiani e anti, liberati senza danno, e senza malanimo, né per l’uno né per l’altro fronte, hanno dato tre versioni diverse dell’accaduto, che pure ha preso una giornata abbondante. Le versioni sono tre perché i due inviati del “Corriere della sera” hanno scelto di ricordare i fatti insieme.
È un caso non raro e anzi comune dell’inattendibilità della testimonianza diretta, sul fatto. Tanto più inattendibile in quanto resa da professionisti dell’informazione, di come si rappresenta un fatto senza tradirlo. È il caso, a maggior ragione, della confessione pro reo a carico di terzi, dei collaboratori di giustizia o pentiti di mafia, che, se hanno consentito di perseguire alcuni delitti (cioè di rimediare alle lacune e insufficienze delle indagini), hanno creato spesso sconquassi infondati.
È, filosoficamente, il tema di Franco Lucentini in “Enigma in forma di mare”, il romanzo scritto con Carlo Fruttero. Sul puzzle che non si può ricomporre senza il disegno di fondo. La testimonianza è sempre parziale. È decisa per essere prevenuta, più spesso involontariamente.

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